“22 giugno 2004, New York. Lo spazio non è più una frontiera riservata alla Nasa e alle agenzie spaziali governative. Nel cielo azzurro sopra la California, a bordo di una piccola navicella alimentata da un razzo, il pilota americano di origini sudafricane Mike Melvill ha scritto una nuova pagina nell’esplorazione spaziale, diventando il primo astronauta privato della storia. A 43 anni di distanza dal volo che portò in orbita Yuri Gagarin – il primo uomo a uscire dall’atmosfera terrestre – stavolta l’impresa è stata ripetuta con una missione finanziata da Paul Allen, il miliardario che con Bill Gates fondò nel 1975 la Microsoft. Allen ha investito oltre 20 milioni di dollari della sua sterminata fortuna per lanciarsi in un’altra delle sue molte sfide. Il traguardo raggiunto nei cieli sopra il deserto del Mojave, dove si sono dati appuntamento ieri all’alba migliaia di appassionati del volo o semplici curiosi, viene infatti ritenuto un punto di svolta nella corsa al turismo spaziale. Quando SpaceShipOne, un velivolo disegnato da Burt Rutan, ha portato Melvill oltre la barriera dei 100 chilometri di quota, è ufficialmente cominciata un’era in cui per ottenere un biglietto per il grande spettacolo dello spazio potrebbe non essere più necessario mettersi in lista d’attesa per un posto sulla navicella russa Soyuz o sullo Space Shuttle americano. In attesa di valutare le possibilità dello sfruttamento commerciale dello spazio, Allen, Rutan e il sessantaduenne Melvill si godono ora il successo dell’impresa e puntano a un nuovo traguardo. Scaled Composite, la società di Rutan alimentata dai soldi di Allen, è ora la capolista assoluta nella corsa all’X-Prize, un premio internazionale da 10 milioni di dollari che andrà al team capace di creare per primo un velivolo a tre posti in grado di raggiungere lo spazio sub-orbitale, rientrare a Terra e ripetere l’impresa entro due settimane. Il premio si ispira all’Ortiz Prize, messo in palio negli anni Venti per la prima traversata in volo dell’Atlantico e vinto nel 1927 da Charles Lindbergh. Melvill, un nuovo Lindbergh del XXI secolo, può ora fregiarsi del titolo di astronauta e al suo ritorno a Terra, accolto dagli applausi e dall’entusiasmo di migliaia di persone – moltissime famiglie con bambini sono accorse nel deserto – ha raccontato l’impresa con descrizioni tecniche miste a commenti ispirati. «È stata quasi un’esperienza religiosa – ha detto – c’è un panorama mozzafiato da lassù. Ho potuto spingere lo sguardo fino oltre San Diego, sull’Oceano Pacifico». L’impresa ha preso il via alle 6,45 del mattino (le 15,45 in Italia) nel deserto a 160 km a Nord di Los Angeles. Il White Knight, uno speciale jet disegnato da Rutan con una linea che ricorda quella di un catamarano, è decollato con il pilota Brian Binnie ai comandi. Sotto la pancia, il jet portava la piccola navicella «SpaceShipOne», dentro la quale Melvill si preparava al tentativo. Salendo a spirale per circa un’ora, il White Knight ha raggiunto una quota di 14 mila metri – più bassa delle previsioni della vigilia – e ha sganciato la navicella di Melvill. «SpaceShipOne» ha acceso il proprio razzo speciale e ha puntato in verticale verso lo spazio, «sparando» Melvill in cielo a una velocità vicina ai 4.000 chilometri orari, superiore a Mach 3 (cioè più di tre volte la velocità del suono). «Ci aspettavamo una pressione pari a tre o quattro volte la forza di gravità terrestre – ha raccontato il pilota dopo il rientro – ma in realtà ne ho sperimentata una superiore a cinque. Per fortuna mi ero allenato e non è stato un problema». L’ascesa ha spinto la navicella a circa 103 km di quota – fuori dall’atmosfera, ma subito prima della quota da orbita – e qui Melvill ha sperimentato per tre minuti l’assenza di gravità. «Potevo vedere la curvatura della Terra – ha raccontato – e mi sono divertito a lasciar galleggiare alcune caramelle che avevo con me». «SpaceShipOne» è poi discesa come un aliante verso Terra e Melvill ha toccato di nuovo il suolo del deserto del Mojave alle 8,15 locali, concludendo una missione storica durata in tutto circa 90 minuti”. (Marco Baldazzi, Il Mattino)


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