Il Tar del Lazio da’ ragione ai produttori friulani del Tocai, in attesa di pronunciarsi sul vino alla segatura.

1) TOCAI. IL TAR DEL LAZIO DA’ RAGIONE AI PRODUTTORI FRIULIANI
E’ decisamente una vittoria quella decretata dal TAR del Lazio che si è pronunciato a favore del Tocai friulano. Una vittoria in cui aveva sperato l’Unione nazionale delle Arga sin dalla riunione dell’ultimo Consiglio nazionale che si è svolto a Grado lo scorso anno. Ad annunciare l’esito del giudizio del Tribunale amministrativo rispetto all’istanza di sospensiva proposta dai ricorrenti Cantina produttori di Cormons, Luigi Soini, e Vivai Pinat, è stato il presidente dell’Associazione dei giornalisti agricoli, ambientali, enogastronomici e turistici del Friuli Venezia Giulia, Carlo Morandini, che ha poi aggiunto: “Vedremo se l’orientamento unanimemente espresso da tutti gli organi di giustizia nazionali finora pronunciatisi sul Tocai avrà modo di convincere i giudici della Corte di giustizia europea a vantaggio della denominazione autoctona. La risposta arriverà, però, tra circa un anno”. Il Tribunale Amministrativo del Lazio ha infatti accolto anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea presentata dagli stessi ricorrenti. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia era stato richiesto, oltre che dal legale dei produttori, il professor Fausto Cappelli, anche dall’avvocato della Regione, Enzo Bevilacqua, e dall’avvocato dello Stato, Fiorilli. I magistrati italiani, nel ritenere fondata la richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia europea, hanno sposato la tesi della legittimità dell’uso del termine Tocai anche dopo il 31 marzo del 2007. “Peraltro, siccome questa limitazione temporale deriva da una decisione della Commissione, solo un organo di giustizia comunitario, cioè il Tribunale di prima istanza del Lussemburgo o la Corte di giustizia europea – precisa ancora il presidente Morandini – possono annullare o modificare tale decisione della Commissione”. Il Tar del Lazio fonda le sue determinazioni a favore del Tocai friulano sui seguenti quesiti, che ha inviato alla Corte di giustizia europea.
A) Se il trattato di adesione della Repubblica Ungherese alla Unione europea (GUCE L 236 del 23 settembre 2003) deve essere interpretato in modo da far ritenere che, per quanto riguarda la denominazione dei vini prodotti in Ungheria e nella Comunità europea, a partire dall’1 maggio 2004 si applicano unicamente le disposizioni contenute nella normativa comunitaria di cui al regolamento n.1493/99 e al Regolamento n.753/2002, come modificato dal Regolamento n.1429/2004;
B) Se l’articolo 52 del Regolamento n.1493/99 costituisca una base giuridica sufficiente per autorizzare la Commissione europea a sopprimere la denominazione di un vino (nella specie: “Tocai friulano” derivata da una varietà di vite legittimamente registrata negli appositi registri dello Stato italiano e riportata nei relativi regolamenti comunitari”;
C) Se l’art 34, par 2 secondo comma del Trattato Ce, che proibisce le discriminazioni tra produttori e consumatori di prodotti agricoli all’interno della Comunità europea, comporti il divieto di discriminare i produttori e gli utilizzatori di una sola denominazione di vino, quella relativa al vino “Tocai friulano”, fra le 122 denominazioni elencate nell’Allegato I del regolamento n753/2002 (come modificato dal Regolamento n.1429/2004) nel senso di impedire che tale ultima denominazione possa continuare ad essere utilizzata dopo il 31 marzo del 2007;
D) Se l’art. 19 par 2 del Regolamento n.75312002 della Commissione che sancisce la legittimità dell’utilizzo delle denominazioni delle varietà di vite elencate nell’allegato I dello stesso Regolamento (come modificato dal Regolamento n.1429/2004) debba essere interpretato in modo da far ritenere possibile e legittimamente ammessa l’esistenza di casi di omonimia tra nomi di varietà di vite e indicazioni geografiche riferite ai vini prodotti nella Comunità europea;
E) Se, in caso di risposta affermativa al precedente quesito n.4, l’art. 34 par 2, secondo comma del Trattato Ce, che proibisce le discriminazioni tra produttori e consumatori di prodotti agricoli all’interno della Comunità europea, vieti alla Commissione di applicare, in un proprio regolamento (7531/2002), il criterio dell’omonimia nel modo risultante dall’Allegato I di tale Regolamento, nel senso cioè di riconoscere la legittimità dell’utilizzo di numerosi nomi di varietà di vite che contengono discriminazioni parzialmente e totalmente omonime di altrettante indicazioni geografiche, escludendo la predetta legittimità di utilizzo per un solo nome di varietà di vite (“Tocai friulano”) legittimamente usato da secoli sul mercato europeo;
F) Se l’art 50 del Regolamento n. 1493/99 debba essere interpretato nel senso che nell’applicare le disposizioni degli artt.23 – 24 dell’Accordo Trip’s e, in particolare, la disposizione dell’art.24.6 dello stesso Accordo, in materia di denominazioni omonime dei vini, il Consiglio dei Ministri e gli Stati membri (e a maggior ragione la Commissione europea) non possono adottare o autorizzare provvedimenti, come il regolamento n.753/2002 della Commissione, che in materia di denominazioni omonime riservino un trattamento diverso alle denominazioni di vini che presentano le stesse caratteristiche sotto il profilo dell’omonimia;
G) Se l’esplicito riferimento agli artt. 23 e 24 dell’Accordo Trip’s, contenuto nel considerando n. 56 e nell’art. 50 del Regolamento n.1493/99, renda direttamente applicabile nell’ordinamento giuridico comunitario, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, la disposizione dell’art 24.6 che sancisce il diritto degli Stati aderenti al predetto accordo di tutelare le denominazioni omonime.
Brunella Cimadomo

2) RICORSO AL TAR DEL LAZIO PER FERMARE IL VINO ALLA SEGATURA
E’ stata presentato al Tribunale Amministrativo del Lazio (Tar) il ricorso per fermare l’uso di segatura di legno per l’invecchiamento artificiale dei vini Made in Italy dopo che il Decreto del Ministero delle Politiche agricole, Alimentari e forestali del 2 novembre 2006 lo ha di fatto autorizzato per il 70 per cento della produzione italiana, escludendo solamente i vini a denominazione di origine (DOC/DOCG), che rappresentano meno di un terzo del mercato. Lo rende noto la Coldiretti che ha preso l’iniziativa insieme a Città del Vino, Federconsumatori, Codacons, Adusbef, Adoc, Slow-food Italia, Legambiente e alcuni produttori titolari del riconoscimento di denominazioni di origine controllata. L’obiettivo del ricorso – sottolinea la Coldiretti – è quello di tutelare le produzioni agroalimentari nazionali di qualità, che costituiscono un patrimonio irrinunciabile per il nostro paese, ed i consumatori che verrebbero a trovarsi di fronte ad un prodotto artificiale, considerando anche i danni che i cosiddetti trucioli potrebbero comportare alla salute. L’utilizzazione dei cosiddetti trucioli per invecchiare il vino aggravata dalla mancanza di una informazione trasparente – continua la Coldiretti – inganna i consumatori e danneggia i produttori che si impegnano nel mantenimento di tecniche tradizionali, quali la maturazione dei vini in botti di legno. L’ Italia che ora rappresenta circa il 25 per cento delle esportazioni mondiali e ha conquistato negli Usa il primato delle vendite, deve scegliere senza indugio – precisa la Coldiretti – la strada della qualità e della trasparenza senza cedere alle tentazioni di una concorrenza fondata sulla bassa qualità che non valorizza le potenzialità del territorio nazionale. Una necessità per non compromettere il successo fatto registrare dal vino Made in Italy che nel 2006 ha realizzato un boom dell’ 6,4 per cento nel valore delle esportazioni e – precisa la Coldiretti – un successo rilevante negli Stati Uniti (+ 5,7 per cento) e nei nuovi Paesi emergenti come India (+60,5 per cento) e Cina (+141,7 per cento), secondo le elaborazioni su dati Istat relativi ai primi dieci mesi. I risultati commerciali del 2006 con una vendemmia buona e su quantità contenute attorno ai 50 milioni di ettolitri dimostrano – afferma la Coldiretti – la presenza di nuove e rilevanti opportunità di crescita del vino Made in Italy che nello scorso anno ha raggiunto un fatturato record di 9 miliardi di euro, 3 dei quali attraverso l’export anche grazie alle garanzie sul divieto dell’utilizzo dei trucioli. Tra i motivi del ricorso si evidenziano una incompetenza ministeriale in quanto il provvedimento ministeriale doveva essere preceduto dal parere delle Regioni e del Comitato Nazionale per la Tutela e Valorizzazione delle Denominazioni di Origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini, ma anche – conclude la Coldiretti – una violazione del giusto procedimento e un eccesso di potere, ovvero le diverse categorie interessate (consumatori, imprese agricole ecc.) non sono state consultate. COLDIRETTI
Da: Asterisco Informazioni [info@asterisconet.it]


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