Vini Buoni d’Italia 2009, note sparse

In testa Verdicchio, Nerello e Fiano

Mentre per la ventesima estate consecutiva si accende la discussione sulla validità dei punteggi, persino sulla opportunità o meno di giudicare un vino, tiriamo le somme della esperienza di Vini Buoni d’Italia 2009 per il Centro Sud.

Il metodo
La prima sensazione è legata alla totale libertà di valutazione che consente di muoversi autonomamente nella scelta e nei giudizi, tutelati, sì, tutelati, vuoi dalla degustazione coperta, ma soprattutto dalla decisione che impedisce ai coordinatori di votare i vini della propria regione. L’obiettivo editoriale del Touring è offrire ai propri lettori il meglio della produzione autoctona italiana e la metodologia di selezione va in questa direzione: certo, a conti fatti alcune scelte possono essere discutibili, altre andrebbero riviste, ma questo rientra nel gioco normale delle cose. Se si vuole fare una guida rappresentativa della produzione italiana scegliendo meno di 200 Corone fra quasi 16.000 vini non c’è altro modo della selezione: davvero non capisco il motivo per cui la valutazione di un vino debba essere considerata penalizzante e non esaltante del lavoro svolto dal produttore. Spingendo all’estremo alcuni ragionamenti, allora non si dovrebbero dare voti a scuola, tanto meno all’università, i concorsi non si potrebbero fare, persino i quiz della patente andrebbero aboliti. Il sistema della valutazione è un po’ come la democrazia, presenta difetti ma resta il migliore possibile. Al di là c’è l’arbitrio, la forza economica delle aziende più importanti o capitalizzate, o, peggio, la furia cieca dell’ideologia. Sostenere l’impossibilità di giudicare una bottiglia fa molto snob e chic, ma significa rinunciare a governare il processo e delegare la rappresentazione del vino italiano agli uffici stampa e alla pubblicità. Significa, in ultima analisi, rinunciare al piacere di comunicare la propria esperienza. O piuttosto, più astutamente, ritagliarsi, tutto legittimo per carità, uno spazio produttivo e commerciale un po’ più sofisticato, in nome della lotta alle distorsioni del mercato e della produzione, quelle stesse distorsioni che consentono la nascita di un commercio di risulta molto più prolifico e redditizio per chi lo incrocia perché parla agli appassionati in cerca di novità con maggiore predisposizione alla spesa. Insomma, senza utilitarie niente auto di lusso. Ma su questi aspetti torneremo. Ciò è possibile perché la filiera italiana non ha ancora la necessaria maturità, vini importanti come il Fiano e il Sagrantino non hanno nemmeno uno storico da socializzare, siamo ancora alla posa delle prime pietre. E dunque quando c’è ignoranza l’ideologia è sempre la scorciatoia più comoda e, soprattutto, tranquilizzante. Altro è discutere il miglioramento delle selezioni, la possibilità di adottare un sistema più efficace di valutazione. Su questo, anzi, è necessario discutere e confrontarsi.
Queste cose sono così scontate che è addirittura imbarazzante ribadirle, ma come la natura riconquista il manto stradale se non c’è manutenzione, così l’irrazionale aggredisce di continuo il sapere e l’ordine, il pendolo storico del pensiero umano è proprio questo. Un po’ come il ritorno del fanatismo religioso di questi ultimi anni.

Verdicchio e Fiano
Veniamo alla ciccia, alle degustazioni. Lo scorso anno mi colpì la selezione di vini bianchi del Lazio e della Sicilia, stavolta il bianco parla marchigiano e irpino. Le bottiglie portate da Antonio Paolini sono state davvero stupefacenti, vedo come ormai si sia sviluppata una cultura tale da queste parti che molti escono con le riserve, sicché abbiamo avuto di fronte ben tre annate da giudicare. In poche parole si sta lavorando sulla profondità, una strada obbligata anche per i bianchi campani che hanno ben figurato nelle selezioni ma il cui destino appare troppo legato all’andamento climatico. Il Verdicchio, nelle sue articolazioni territoriali, ha smesso praticamente ogni ruffianeria e si è incamminato sulla ricerca caratteriale della tipicità: un grande lavoro, simile a quello del Soave, che individua per i bianchi italiani una prospettiva nuova rispetto alle indicazioni degli anni precedenti, più giocata sulla mineralità e la sapidità che sulla dolcezza e la morbidezza. Siamo insomma verso la costruzione di grandi vini bianchi evitando aspetti caricaturali che non possono attraversare il tempo. In questo sforzo, che consente anche di presentarsi in forma in annate difficili come la 2007, l’Irpinia è tutta dentro. C’è con la forza dei due vitigni nobili, il Fiano e il Greco, che hanno davvero un marcia in più grazie anche alle condizioni pedoclimatiche del territorio. Ai produttori lancio però nuovamente l’invito a creare dei cru, a fare riserve, a non accontentarsi della qualità intrinseca e quasi naturale ottenuta solo con l’acciaio, ma a costruire nuovi ambienti mentali regalando il gusto della scoperta ai consumatori. L’unico cru esistente al momento è il Cutizzi dei Feudi: e questo non va bene. Mastroberardino ha presentato il 1999 del More Maiorum, Moio il 2006 dell’Exultet, ma si tratta di episodi mentre serve una tendenza. I produttori farebbero bene a conservare le selezioni e uscire almeno un anno dopo in tirature limitate: così nasce la leggenda di un vino. Le selezioni, anche la finale, hanno dimostrato comunque che i bianchi irpini sono ormai al top della produzione italiana. Ma proprio per questo non bisogna fermarsi, si è appena all’inizio dell’avventura.

Il Nerello Mascalese dell’Etna e il Taurasi
Ho praticamente votato tutti i Nerello presentati da Alma Torretta. Una selezione impressionante, anche in blend con il Nerello Cappuccio. Anche in questo caso parliamo di vini pieni di carattere, minerali, sapidi, ma meno scontrosi del Taurasi, il frutto viene fuori prima e dunque credo che la docg campana abbia finalmente trovato al Sud il competitor che gli mancava, lo simolo necessario all’ulteriore miglioramento. Anche perché nella selezione sono arrivati al top aziende molto consolidate. Il motivo è semplice: con un vino che deve aspettare tre anni prima di uscire è difficile ci possano essere novità da una stagione all’altra, l’uso del legno, la selezione delle uve, la tecnica di elevamento devono per forza di cosa fare i conti con l’esperienza maturata negli anni e non a caso sono emerse aziende che hanno stili diversi ma alla fine frutta e tecnica da vendere. Nel Nerello c’è stata qualche bocciatura clamorosa, ma parliamo davvero di decimi di secondo fra chi è stato coronato e chi, invece, ha avuto solo la Gran Menzione. Comunque ormai la tradizione c’è e avremo molto da divertirci nei prossimi anni.

Varia
L’atmosfera delle degustazioni è stata tranquilla e serena. Per le corone complete vi rimando qui e qui mentre per il Centro potete leggerle qui . Segnalo i Brunello 2003, l’annata dello scandalo, per gli amanti di questa tipologia in cerca di certezze. Nel blog dello straordinario Andrea Gori troverete commenti di merito sicuramente più qualificati di quelli che potrei fare io in questa sede oltre che una quantità enorme di materiale di foto e video. L’atmosfera e la ricchezza delle giornate emerge dalla scrittura fresca e pungente di Monica Piscitelli mentre sul blog di Lorenza Vitali ci sono altre foto e l’elenco completo anche dei finalisti. Chi ama l’Umbria deve seguire il collega Aldo Fiordelli, alias Consumazione Obbligatoria.
Beh, visto che è stato davvero tutto pubblico, chi naviga su youtube avrà scoperto che ho proposto a Mario e Luigi il Marsala Superiore Riserva Donna Franca di Florio come vino dell’anno. Una folgorazione di cui scriverò venerdì sul Mattino. Quando il Mediterraneo è capace di esprimere vini così non ce n’è per nessuno. Un viaggio nei secoli.
Quanto alla location, Terre di Conca di Berardino, potete leggere questa scheda
Ultimo, last but not least, Mario Busso e Luigi Cremona. Due persone di esperienza, due guide più che curatori di guida, capaci di tenere la rotta lasciando a ciascuno di noi il timone. Lavorare con loro è un piacere ma soprattutto un rubare, rubare il mestiere, l’esperienza, l’entusiasmo giovanile, la capacità di Luigi di scoprire un frutto fra gli alberi di Berardino e quella di Mario di ascoltare e rilanciare. E’ nella semplicità la grandezza, di un vino, di una persona.

Caro Luciano
Ti ringrazio per le belle parole e, al solito, condivido il tuo pensiero di apertura.
Ogni tanto ci vogliono imbavagliare, accade periodicamente anche per i ristoranti. Normalmente la critica ai critici parte dalla categoria sotto tiro, il che è comprensibile, anche se non giustificabile, vedi in ultimo il caso di Marchesi che rifiuta (ora) le tre stelle (mentre quando gliele hanno date e gli facevano comodo, le ha accettate con plateale soddisfazione). Meno comprensibile è quando sono i nostri colleghi giornalisti a sposare la causa. Allora la manovra diventa più sottile e pericolosa.
E’ l’ Italia del NO, quella che non legifera, che non decide, che non rischia, che non si impegna, che non si assume le responsabilità…quella che purtroppo avanza.
Cerchiamo nel nostro piccolo di combatterla
29/07/2008, Luigi Cremona

(dal sito: www.lucianopignataro.it)


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