COMPETERE. Innovazione: il Lungo Sonno
La battaglia elettorale infuria, toccando sempre e solo temi senza visione né futuro. L’innovazione invece avanza e sta prendendo una direzione ben definita. Come registrato da un recente report di General Electric, dove l’Italia non è nemmeno considerata, innovazione e politica sono sfere in progressivo allontanamento. Le istituzioni non sembrano più in grado di governare il cambiamento e, dunque, il settore privato prende il largo anche nella gestione dell’economia e nel trovare soluzioni ai problemi dei cittadini. Questa è la conseguenza di una classe politica sorniona sui temi come l’automazione, la digitalizzazione e le nuove forme di occupazione e di una rinnovata vitalità dei mercati che però richiedono tutele agli esecutivi.

Quali direttrici nel futuro dell’innovazione?
1. NUOVI VECCHI PLAYER – Le multinazionali non dovrebbero essere considerate soggetti emergenti. Eppure se si osserva il trend degli ultimi 5 anni, il centro dell’innovazione si è spostato sempre più dalle piccole-medie impreso verso le grandi corporation e verso le start-up formate spesso da imprenditori che agiscono individualmente. Non solo, il fenomeno è meno domestico rispetto al 2014. Le multinazionali che investono da fuori vengono riconosciute più di quelle interne come driver di innovazione. Questo dato è rilevante soprattutto in Europa, la patria delle PMI. Anche nei cosiddetti mercati emergenti (Cina, Sud-Est Asiatico) i governi stanno perdendo costantemente il timone dei processi di cambiamento.
2. I MERCATI EMERGENTI SI CONSOLIDANO – I newcomer stanno rafforzando le proprie posizioni di leader nel mercato dell’innovazione. Si denota peraltro una concentrazione di investimenti verso l’industria delle telecomunicazioni, nella creazione di Smart Cities e nelle tecnologie legate ai Big Data in Asia. I “vecchi” Paesi occidentali sono invece concentrati sull’e-healt, i trasporti e l’intelligenza artificiale.
3. IL FUTURO INCERTO DEL LAVORO – Il passaggio al paradigma dell’automazione industriale e dei servizi sta mettendo in difficoltà il settore privato. Il tema principale è la carenza di competenze specifiche per le nuove occupazioni che l’industria 4.0 e l’IoT stanno creando. Contrariamente però alla narrazione, i Paesi emergenti risultano quelli più in difficoltà nel reperire il capitale umano necessario.
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Queste tendenze sono chiaramente parte di un cambiamento molto più ampio che non può essere sottovalutato dalla politica. Innanzitutto perché l’impoverimento sul piano dell’innovazione delle PMI è un segnale di debolezza complessivo del sistema ed è obbligatorio chiedersi perché e trovare soluzioni condivise. In secondo luogo, non sono più i centri decisionali a guidare le politiche industriali, che da un lato può essere un aspetto positivo, ma non collima con la richiesta crescente del tessuto produttivo di avere intorno a sé un ecosistema favorevole allo sviluppo e all’innovazione. La questione del lavoro è, forse, la più complessa. È chiaro che investire sulla formazione e basta non è sufficiente. Le imprese, ad esempio, chiedono un maggiore intervento dei Governi in questo senso affinché sia tutto il sistema educazione-lavoro a funzionare.

Questo schema fornisce un quadro preciso delle dinamiche in essere a livello globale. Ed è piuttosto desolante constatare che nel panorama politico italiano non si stia affrontando il tema dell’innovazione in alcun modo. Non deve quindi stupire se nei report internazionali l’Italia viene considerata irrilevante sotto questo profilo. Sembra si stia diffondendo una rassegnazione generale riguardo il nostro potenziale produttivo e le politiche che servirebbero per ritornare ad essere competitivi. Certo, stare a guardare non ci risolleverà dal fondo del barile.

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Categorie: Attualità

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