LA RIVISTA ALBATROS DI SETTEMBRE
Albatros, il mensile che viaggia per il mondo, con pagine in italiano e in inglese per la vendita negli Usa, è ritornato in edicola sabato 9 settembre con uno sguardo all’immediato futuro. Chi ha detto che l’anno inizia il primo di gennaio?
Quello solare certo, ma quello economico, politico, sociale inizia per noi italiani il primo di settembre, perché è in questo mese, dopo la pausa estiva,che vi sono le novità sostanziali che caratterizzeranno il nostro immediato futuro e di cose nuove quest’anno ce ne sono tante.
La crisi in medio oriente, che continua a coinvolgere le nostre forze armate in zone problematiche del mondo; interessante anche il nostro servizio a Gerusalemme, dove abbiamo raggiunto la nostra inviata Elisabetta Necco,(nella foto, segue l’intervista),per saperne di più da chi vive la quotidianità di quei luoghi.
Le intercettazioni, che hanno rilevato comportamenti molto poco etici in molti campi e le scelte politiche del nuovo governo con la finanziaria; gli immigrati, la ricerca, solo per indicarne alcune, quelle di cui abbiamo discusso con i nostri intervistati, fornendo ai lettori di Albatros, come sempre, pareri a confronto, un vero e proprio forum cartaceo cui i lettori sono invitati se desiderano a dire la loro,che sarà pubblicata sul prossimo numero della rivista. A pronunciarsi su ciò che accade a livello nazionale ed internazionale: il Ministro Antonio Di Pietro, il premio Nobel Rita Levi Montalcini, il generale Bruno Tosetti, il poeta,Edoargo Sanguineti, l’Assessore all’Università e Ricerca della Regione Campania, Teresa Armato, l’appartenente all’ordine degli avvocati, Avv. Gennaro Leone, la responsabile di un nuovo progetto pro immigrate D.ssa Cerulli e inoltre gli artisti impegnati in campagne umanitarie come Lino Banfi,la nostra copertina, Albano Carrisi, Claudia Ruffo, Rafael Mendez. Non potevamo inoltre non raccontare la ripresa sportiva calcistica e gli interessanti progetti in cui è coinvoltala nostra rivista. Un numero ricco quello settembrino sempre al passo con i tempi e con la nostra storia. Buona lettura a tutti, Lucia de Cristofaro
Referente: Lucia de Cristofaro decristofaro.albatros@email.it

L’INTERVISTA DI ALBATROS
Elisabetta Necco: Palestina, la guerra dimenticata, vista con gli occhi di una napoletana.

Sembra difficile pensare che in Palestina, con paesi confinanti come Libano e Israele, dove la guerra non è utopia ma quasi pane quotidiano, ci siano cittadini europei che se ne stanno a svolgere il proprio lavoro, nonostante le difficoltà di dover convivere in una situazione di continua precarietà, fatta di incertezze operative e di paure continue per un domani che non si riesce mai ad immaginare migliore di ieri, anche se la speranza di vivere giorni più tranquilli, in pace, è più forte di ogni altra aspettativa.
La cosa diventa ancora più intrigante se nella colonia europea di stanza a Gerusalemme c’è una napoletana, Elisabetta Necco. Si è laureata a Napoli col massimo dei voti in Scienze Politiche, indirizzo “Africa Mediterranea e Vicino Oriente”, presso l’Istituto Universitario Orientale, con la tesi di laurea in Diritto Musulmano e dei Paesi Islamici, dal titolo “La Bioetica nel Diritto Islamico”, con la quale ha vinto il “Premio Nazionale G. Teodori 2002” per la “Migliore Tesi di Laurea”. Da quel momento ha scelto di lavorare in Palestina. Ed è con lei che cerchiamo di sapere qualcosa di più di questo paese.
Difficile, dunque, vivere Gerusalemme?
“E’ difficile ma non impossibile – dice – visto che sono anni che vivo in questa città, dove ora lavoro con una organizzazione non governativa spagnola che ha stabilito la sua presenza nei territori palestinesi ormai da dieci anni, occupandosi di progetti di sviluppo in settori quali salute, sviluppo democratico, gioventu’. Il nostro impegno verso la popolazione palestinese e l’appoggio materiale e morale che meritano di ricevere ci portano a viaggiare costantemente su tutto il territorio, Cisgiordania e Striscia di Gaza”.
In territori, cioè, dove quotidianamente giornali e tv di tutto il mondo descrivono la vita come una continua scommessa col futuro. Un paese dove si cerca comunque di svolgere una sia pur minima attività, riuscendo ad andare al voto per eleggere chi deve guidarlo. Ma sembra che anche in questo caso le cose non sono state facili, anzi hanno creato problemi anche alle organizzazioni umanitarie. E’ così?
“Purtroppo sì. Dai risultati elettorali dello scorso gennaio, le restrizioni ai movimenti dei palestinesi e di quanti sono impegnati nel settore umanitario hanno prodotto enormi difficolta’ e ritardi sostanziali nel compimento delle nostre responsabilita’. Muoversi per i territori occupati sta diventando sempre piu’ complicato e l’accesso a Gaza ci e’ praticamente proibito. Proprio pochi giorni fa, ad esempio, non ho potuto recarmi al lavoro perche’ il governo israeliano aveva improvvisamente dichiarato lo stato di allerta e fatto chiudere tutti gli accessi da e per Gerusalemme per una soffiata di un possibile attentato in citta’. Ultimamente, in concreto dallo scoppio della guerra in Libano, sta accadendo frequentemente. Cio’ dimostra che gli israeliani potranno costruire mille altri muri e barriere, mille altri checkpoint e frontiere ma non si sentiranno mai sicuri davvero. Non e’ cosi’ che si costruisce una pace duratura e un dialogo maturo con i propri vicini.”.
Il fatto è noto, infatti, e purtroppo anche datato. All’Onu si sa da sempre che non sara’ una soluzione militare a risolvere il problema del conflitto israelo-palestinese, perché bisogna andare alla radice dello stesso che non e’ null’altro che l’occupazione illegittima dei territori e di Gerusalemme. Ma la gente crede nella possibilità della creazione dello stato palestinese e quindi nella pacificazione dei due stati?
“Certo. E non solo perche’ cosi’ lo stabiliscono le risoluzioni delle Nazioni Unite ma perche’ si tratta di buon senso e di lungimiranza. Le risoluzioni Onu, infatti, parlano chiaro a riguardo della questione dei confini tra Israele e una futura Palestina, obiettivo non più procrastinabile. E sono in molti a crederci, e a volerlo, in tutt’e due le parti.”.
Una napoletana che ha cercato una diversa dimensione, preferendo lavorare all’estero anziché cercare sicurezza e tranquillità entro i confini italiani. Gli stessi studi fatti spingevano in quella direzione. Quali sono le difficoltà più evidenti a Gerusalemme?
“La citta’ vecchia di Gerusalemme e’, retorica a parte, semplicemente unica; e’ un posto davvero magico, direi seducente, anche se potrebbe sembrare un aggettivo poco consono alla citta’ “santa” per antonomasia! Certo, non e’ affatto facile viverci e integrarsi, neanche per chi, come me, vi vive da quasi 4 anni. Il problema fondamentale che affronto quotidianamente e’ quello di sentirmi, in un certo senso, doppiamente discriminata. Gli israeliani non nutrono molta simpatia per gli stranieri non-ebrei (siamo occhi indiscreti, bocche che racconteranno alla fine del viaggio brutalita’ e menzogne smascherate). Dall’altra parte, i palestinesi hanno sviluppato una certa diffidenza verso gli stranieri che vivono a Gerusalemme. Sono grati alla comunita’ internazionale e agli europei innanzitutto per l’appoggio economico che non abbiamo mai fatto mancare ma nutrono forti dubbi sulla nostra capacita’ di sostenerli politicamente. E non hanno tutti i torti: e’stato semplicemente vergognoso bloccare i fondi diretti alla Palestina, indispensabile alla sopravvivenza dei cittadini, dopo la democratica vittoria di Hamas, anche se poi la situazione si è sbloccata”.
Gli occidentali sono cosi’, riconosciamolo: sì alla democrazia, ma solo a patto che accettino le nostre regole del gioco. Non c’è da stupirsi, dunque, se lo cose vanno male. D’altra parte anche Israele e’ uno stato democratico, almeno sulla carta. Tutto ciò complica la vita quotidiana?
“Non c’è dubbio. Vivere a Gerusalemme, genera molte piu’ tensioni che vivere in Cisgiordania, in un certo senso. Gerusalemme e’ una citta’ sotto occupazione, cio’ significa vivere in una citta’ militarizzata, claustrofobica. D’altra parte, il ricorso alle armi e alla presenza militare nella citta’ non la rende particolarmente sicura: pensiamo al barbaro omicidio di Angelo, il volontario italiano ucciso poche settimane fa in una delle strade principali di Gerusalemme, fuori le mura della citta’ vecchia, a pochi passi da casa mia. Ecco perche’ e’ una citta’ che trasuda odio e tensione: i militari e poliziotti israeliani percorrono insistentemente le sue strade, decidendo a volte anche a che ora i negozi dei palestinesi dovranno chiudere, ma non assicurano alcuna protezione o ostacolo a episodi di criminalita’. Muori ammazzato in questa citta’ e nessuno se ne accorge!”
Come avete visto la guerra da dentro?
“La guerra in Libano e’ stato un terremoto psicologico. Non mi soffermerei sull’analisi politica dell’evento (tanto e’ stato scritto e detto da voci piu’ altisonanti della mia) quanto sulla maniera in cui ha cambiato le nostre vite qui, a pochi chilometri dall’inferno. Lavorando e vivendo a stretto contatto con la popolazione palestinese ho assorbito le tensioni di chi mi circondava, ho sofferto con loro e ho sognato con loro che questa volta potesse essere quella giusta. Non c’e’ stato palestinese che non abbia sperato che il prezzo pagato con migliaia di vittime libanesi potesse aiutare i palestinesi a sbloccarsi dalla situazione di stallo in cui si trova da tanto tempo. Speravamo che la tragicita’ della guerra scoppiata per un pretesto ridicolo (il rapimento di due soldati israeliani non poteva e non doveva essere un motivo sufficiente per massacrare migliaia di civili libanesi), avrebbe fatto interpretare diversamente la situazione di eterno conflitto in questa area e scosso gli animi di quanti in Occidente potrebbero concretamente aiutare a una risoluzione dei problemi nel vicino Oriente; ma non e’ stato cosi’. Almeno fino ad ora”.
Gli occidentali che vivono e lavorano a Gerusalemme come hanno reagito a questo conflitto?
“Ci siamo illusi, come degli sprovveduti. Mentre ufficialmente la guerra si è svolta ai confini, nel nord di Israele, a Sud, a Gaza ma anche nei territori occupati, si continua a morire sotto il fuoco israeliano. Noi cooperanti continuiamo a lavorare in condizioni di pesante stress, mentre la popolazione palestinese continua a scivolare anno dopo anno sotto la soglia della poverta’, inesorabilmente. Non e’ nuovo ai palestinesi lo scenario libanese: qui, come nel “paese dei cedri”, le infrastrutture vengono distrutte quotidianamente, soprattutto nella striscia di Gaza, dove sono collassati sotto le bombe israeliane ponti, strade, case per non parlare dei civili che cadono ripetutamente”.
E’ mai venuta la tentazione di mollare tutto e tornare a casa?
“Si, certo, é un pensiero che talvolta mi sfiora ma poi penso a quanto é utile ed interessante il mio lavoro, al privilegio che ho di vivere da cosí vicino in una delle aree piú turbolente e complicate della geopolitica contemporanea e mi convinco che il mio posto è ancora qui, che il mio percorso non é terminato, e che non ho esaurito l’entusiasmo e la voglia di capire, di interrogarmi, di mettermi in discussione e, naturalmente, d’essere d’aiuto”.


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