IL DIBATTITO IN SENO ALLA COMMISSIONE EUROPEA SULL’ORGANIZZAZIONE COMUNE DI MERCATO PER IL SETTORE VITIVINICOLO.

Dal parlamentare europeo Vincenzo Aita (nella foto) riceviamo e volentieri pubblichiamo il suo scritto su quanto sta accadendo a Bruxelles a proposito dell’Organizzazione Comune di Mercato per il settore agricolo.
Aita è salernitano e agricoltore lui stesso; nella qualità di assessore all’agricoltura della Regione Campania si impegnò moltissimo, nella scorsa legislatura,nella vicenda degli OGM (organismi geneticamente modificati) e sulla riduzione delle quote europee per la tabacchicoltura, imponendo il suo punto di vista a difesa dei nostri prodotti e per il mantenimento dei posti di lavoro nel settore agricolo.
Oggi ha intrapreso una nuova battaglia, che noi gli auguriamo vincente, non solo per simpatia verso l’uomo ma perchè siamo convinti della giustezza delle sue tesi.

Vincenzo Aita*: La riforma dell’Ocm (Organizzazione Comune di Mercato) sul vino entra nel vivo della discussione.

Il 12 settembre, nella commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo, è ritornata la commissaria Fischer Boel per illustrare la proposta di modifica dell’Ocm. Nella sostanza si è limitata a ripetere le stesse argomentazioni esposte durante la precedente consultazione del 22 giugno scorso, senza tenere conto di una serie di interrogativi, perplessità e contrarietà esposte in quella sede dall’auditorium dell’emiciclo.

L’idea di fondo della commissaria è quella di adeguare il sistema produttivo vitivinicolo europeo a quelli che sono i modelli nord-americani e australiani, plasmati secondo le esigenze delle grandi multinazionali e al sistema industriale di trasformazione.

Attualmente, la viticoltura in Europa investe 3.4 milioni di ettari e impegna 1.6 milioni di aziende vitivinicole. L’Europa è il primo produttore mondiale di vino, con il 45% della superficie coltivata e il 60% della produzione, e contemporaneamente il più grande consumatore, con il 60% del consumo. Da questi dati, facenti parte della relazione della commissaria Fischer Boel, non emerge quindi uno squilibrio tra produzione e consumazione in Europa.

Nonostante questo, l’Europa ha visto diminuire il proprio potenziale produttivo dal 49% del 1986, al 46.6% del 2002, mentre altri paesi vedono costantemente aumentare la propria produzione, come ad esempio gli Stati Uniti, con un’impennata del 24%, il Cile, del 48%, l’Australia, del 169% e la Nuova Zelanda, di addirittura il 240%.

E’ quindi chiaro che non è l’Europa e il suo settore vinicolo a rappresentare fattore di scompensi sui mercati.

Il settore vitivinicolo europeo impegna dunque 1.6 milioni di imprenditori agricoli: calcolando una media delle imprese europee di circa 2 ettari, l’estirpazione di 400mila ettari, come da proposta della commissaria, comporterebbe la perdita di circa 200mila aziende agricole. Inoltre, occorre calcolare che per ogni ettaro lavorato a vigneto occorrono 600 ore lavorative, a cui si devono aggiungere altre 200 ore per la vinificazione.

Dal punto di vista occupazionale, si perderebbero quindi oltre 143mila lavoratori per ogni giorno lavorativo, un totale di 41.249.952 giornate lavorative annuali.

In questo quadro, il ruolo del Parlamento Europeo deve essere quello di impedire l’avvio di tale sistema di estirpazione, che non prevede in alcun modo alternative produttive per le imprese. Questa opposizione deve essere tanto più forte se si considera il fatto che le zone di produzione viticola sono prevalentemente ubicate in terreni montani e collinari, in particolare nel Sud Europa, zone, queste, già fortemente penalizzate dal punto di vista occupazionale e dello sviluppo.

Il Parlamento deve avanzare una proposta alternativa a quella della Commissione, prevedendo un sistema di estirpazione parziale, soprattutto in quelle aree non votate alla produzione vitivinicola, ma destinate alla distillazione.

I produttori che non volessero abbandonare la propria attività produttiva devono avere la possibilità di riconvertirsi in produzioni di qualità, mentre gli ettari estirpati dovrebbero essere assegnati a giovani imprenditori che operano nello stessa regione, e che vogliono ampliare la loro produzione, o che vogliono intraprendere ex novo questa attività.

In questo modo si potrebbe riqualificare il settore, non si perderebbero quote produttive, si ridurrebbero i costi europei per la distillazione (che per il momento sono di circa di 500 milioni di euro l’anno), da un lato difendendo le aziende agricole e dall’altro evitando di perdere livelli occupazionali.

Secondo punto contraddittorio della relazione é la proposta di importare mosto da paesi terzi, il che comporterebbe la produzione di un vino di bassa qualità, di cui sarebbe impossibile riconoscere i luoghi e i territori di origine, nonché la varietà: insomma, un vino senza identità.

Per salvaguardare la tipicità europea, occorre quindi contrastare questa proposta avanzata nella riforma dell’Ocm del vino.

Terzo aspetto da sottolineare é la volontà di snaturare il sistema di vinificazione europeo, frutto di una tradizione millenaria, che ha conquistato in questi anni i mercati mondiali, con grande sforzo finanziario della stessa Comunità Europea, che ha lavorato molto alla valorizzazione della qualità, grazie alle cosiddette denominazioni (Dop – Denominazione d’Origine Protetta -, Dgp -Denominazione Geografica Protetta -, Docg -Denominazione d’Origine Controllata e Garantita), vanto dei vini europei.

In particolare la proposta è quella di adeguare il sistema europeo ai livelli internazionali, autorizzando anche in Europa pratiche enologiche già utilizzate su indicazione dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, quali l’utilizzo del truciolato per l’invecchiamento del vino. Questi metodi, definiti
“innovativi” dalla Commissione, non sono altro che strumenti volti a favorire le multinazionali del settore nella loro produzione di massa, priva della rintracciabilità di luoghi e territori di produzione, e dalle caratteristiche e proprietà organolettiche artefatte.

La Commissione con queste proposte non fa altro che ripercorrere un percorso già noto in altre produzioni, riproducendo un modello, che a partire da Seattle é stato l’oggetto di forti contestazioni da parte delle Associazioni dei Consumatori e dei movimenti, e che ha come unico sbocco quello di massificare i prodotti agro-alimentari.

In risposta a queste ed altre critiche fatte durante la riunione alla Comunicazione della Commissione, il cui titolo é significativamente “Il futuro dell’Ocm”, la Commissaria ha detto di non voler distruggere il settore vitivinicolo.

In realtà per le ragioni esposte e documentate, l’immagine che emerge é proprio quella di una volontà di distruggere il settore, di appaltarlo alle grandi multinazionali, esponendo la produzione dei vini europei alla penetrazione dei produttori dei paesi terzi: mentre negli ultimi anni l’Europa ha visto diminuire le proprie coltivazioni, gli altri paesi sono cresciuti.

Questa volta non sono neanche valide le motivazioni, non sempre e non da tutti condivise, che hanno accompagnato la riforma dell’OCM del tabacco e dello zucchero, per cui la riduzione delle quote produttive in Europa avrebbero favorito i paesi in via di sviluppo, in quanto personalmente trovo che invece di favorire i piccoli produttori locali si avvantaggino solo le multinazionali (della commercializzazione, dei semi e dell’uso degli anti-parassitari), in un quadro giuridico dove i produttori e i lavoratori sono meno protetti.

Nel caso dell’Ocm del vino, invece, i paesi che trarranno maggiormente vantaggio dalla riforma saranno paesi ricchi, quali Stati Uniti e Australia. E’ per questo che la delegazione del Prc al Parlamento Europeo, e il gruppo della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (Gue/Ngl), è impegnato nei vari paesi europei a costruire un opposizione alla riforma, che coinvolga i produttori e lavoratori penalizzati dalla proposta della Commissaria.

E proprio il 6 dicembre prossimo si svolgerà al Parlamento Europeo di Bruxelles un incontro ospitato del Gue/Ngl, che avrà come obiettivo quello di svolgere una riflessione critica sulla riforma tra produttori e lavoratori.

* Vincenzo Aita, europarlamentare di Rifondazione Comunista nel gruppo Gue/Ngl, è membro della commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo


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