Coniglicoltura Campana: bilanci e prospettive.
La coniglicoltura italiana rappresenta la maggiore realtà di settore a livello comunitario e mondiale. Con 230.000 ton. di prodotto, pari a 100.000.000 di capi/anno, la coniglicoltura rappresenta il 4° settore della zootecnia nazionale con il 9% della P.L.V(produzione lorda vendibile).
Le aziende a carattere intensivo che operano nel settore sono circa 8.000 con un impiego di circa 10.000 addetti.
La Campania vanta numerosi allevamenti cunicoli, anche se questa realtà zootecnica spesso passa inosservata a vantaggio di altri comparti che incidono meno sulla PLV.
Dopo il Veneto e l’Emilia Romagna, tra le regioni dove si registra la maggiore produzione di carne di coniglio, troviamo la Campania, che inoltre rappresenta anche la prima e più importante realtà del Sud Italia.
Di sicuro, la Campania è la regione d’Italia dove si consuma più carne di coniglio (si stima un consumo annuo pro-capite di 16 Kg con punte massime sull’isola d’Ischia, dove il consumo arriva a ben 40 kg annui). Questo dato, certamente influenzato dalla notevole affluenza di turisti, è comunque legato ad una forte tradizione di allevamento cunicolo che ha fatto del “coniglio all’ischitana” un piatto molto ricercato e di grande successo nonostante la forte competizione con i locali prodotti ittici.
La produzione del coniglio da carne è caratterizzata da differenze significative tra il Nord, il Centro ed il Sud della penisola, sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo dei soggetti macellati; infatti, al Nord il coniglio prodotto ha un peso alla macellazione di 2,6 – 2,8 Kg con punte di 3 Kg in Piemonte; al Centro Italia il peso scende a 2,4 – 2,5 Kg mentre al Sud si macellano i conigli già attorno ai 2 Kg di peso vivo.
La macellazione di soggetti leggeri in Campania ha origini lontane ed è legata principalmente alla richiesta proveniente dal mercato dell’isola d’Ischia dove un tempo i conigli si allevavano in fossi scavati nel terreno a circa due metri di profondità e dove i contadini riversavano le erbe ricavate dalla pulizia dei campi per alimentarli.
In questi fossi, veniva allevato il coniglio grigio, presente sull’isola e denominato “coniglio d’Ischia”. Questo soggetto, di piccole dimensioni, alla macellazione faceva registrare un peso vivo intorno a 1,5 Kg ed era molto apprezzato per le caratteristiche organolettiche delle carni. Nel tempo gli agricoltori hanno abbandonato questo tipo di allevamento, preferendo sistemi più produttivi, ma,è continuata nei consumatori e i ristoratori la richiesta di soggetti leggeri, ottenuti macellando i conigli ad un’età inferiore alla norma. Attualmente i conigli allevati provengono da razze precoci in grado di fornire carni mature anche a pesi inferiori a 2 kg.
La produzione del coniglio di fosso, scomparsa con l’avvento della coniglicoltura intensiva, è tornata in auge negli ultimi anni grazie all’impegno dell’associazione “Ischia Rabbit – ONLUS” che intende recuperare la popolazione locale di conigli grigi e riproporre il modello di allevamento tipico dell’isola d’Ischia (il fosso).
Questa produzione, che è inserita tra i prodotti tipici Campani, avrebbe tutte le caratteristiche per ottenere l’IGP (Indicazione Geografica Protetta), anche perché le aziende cunicole campane adottano sistemi di allevamento rispettosi del benessere animale e sono in grado di garantire la totale rintracciabilità in ogni fase della produzione.
La carne di coniglio presenta delle interessanti qualità nutrizionali e dietetiche: la sua ricchezza in proteine, sali minerali, vitamine e il basso contenuto di grasso e colesterolo ne fanno un alimento particolarmente adatto alle esigenze del consumatore moderno.
Da una indagine effettuata da Antonino Nizza docente presso il Dipartimento di Scienze Zootecniche e Ispezione degli Alimenti della Facoltà di Medicina Veterinaria della Federico II di Napoli, sono emerse, caratteristiche della carne del coniglio di fosso particolarmente interessanti, tra cui, il notevole grado di insaturazione degli acidi grassi, elevato contenuto di ferro. L’ottima composizione acidica ha permesso di evidenziare un rapporto w-6/w-3 (3,08) e indici di aterogenicità (0,68) e trombogenicità (0,72) decisamente favorevoli per l’alimentazione umana.
Purtroppo, nonostante la carne di coniglio risponda favorevolmente alle esigenze del consumatore, da almeno tre anni si registra una stagnazione nei consumi che sta arrecando gravi difficoltà agli allevatori nazionali ed europei (in particolare francesi e spagnoli).
Queste difficoltà hanno indotto le 3 maggiori associazioni di coniglicoltori, Avitalia per l’Italia, Intercun – Organizacion Interprofesional cunicola per la Spagna e Comité Lapin Interprofessionel pour la promotion des produits per la Francia a chiedere a Bruxelles che il coniglio sia mantenuto nella lista dei prodotti inseriti nel prossimo regolamento comunitario relativo alla pubblicità e alla promozione dei prodotti agricoli nel mercato interno.
E’ auspicabile conclude Nizza, che anche la Campania, regione ad alta densità cunicola, promuova iniziative per salvaguardare l’attività e i posti di lavoro dei suoi allevatori.
Nando Cirella


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