Spesso mi ritrovo, volutamente a passeggiare per il lungomare della mia città. E’ una condizione di totale rilassamento, con le onde che schiumano a riva e le vele a tagliare il golfo; il mio sguardo non conosce confini, ad eccezione di quella immaginaria linea che unisce cielo e mare. Posso arrivare in profondità, spaziare in larghezza, al punto tale che quel dipinto fatto anche di nuvole e scie di aeroplani che sovrastano il Vesuvio, mi pone in una condizione di assoluta libertà. Premessa la natura quale eccellente fonte di emozioni, quando invece davanti ai miei occhi si sono presentati paesaggi montuosi,essendo il mio sguardo impedito a superarli, ho sempre provato una sensazione di quasi oppressione. Cert’è che psicologicamente, l’uomo di fronte ad un qualcosa che si eleva verso il cielo, metabolizza la fatica, la difficoltà, che si materializzano nel verbo “scavalcare” piuttosto che il “passeggiare”, come magari di fronte alla pianura. Dicevo, ho sempre visto la montagna come qualcosa di insormontabile; che ti impedisce di essere libero e per questo motivo ho sempre preferito mete, di certo più comode, che favoriscono gli spostamenti, sia mentali che fisici. Fino ad oggi, ho commesso un errore : non ho mai provato a “viverla”, questa naturale barriera e stupidamente sono rimasto “imprigionato” nei miei pregiudizi, piuttosto che dalla montagna. E’ accaduto che, uno dei miei responsabili, un ingegnere TIM, si sia “inventato” per le “sue” risorse, un corso “Out door”, al fine di favorire l’integrazione, la comunicazione e la condivisione tra persone che diciamolo pure, trascorrono più tempo in azienda ( compreso lui ) che con i propri familiari; per cui uno dei principali e lo chiamerei “diritto” di chi lavora e produce, è proprio quello di vivere un clima aziendale sereno. Credo che tutte le aziende, debbano puntare a valorizzare, soprattutto dal punto di vista umano, le risorse che ne fanno parte ( chi gerarchicamente occupa la punta della piramide, piuttosto che la base ). Nell’ottica di questo concetto, si inserisce l’idea dell’ingegnere Paolo Tazzioli, che da alpino doc quale è, ( per cui sa sciare, scalare, sa come arrampicarsi ) come meta del corso, sceglie il massiccio del Gran Sasso e precisamente la località di Campo Imperatore ( AQ ). Qualche ora trascorsa in aula, per far leva su ognuno di noi, sull’individualità, che se inserita in un contesto dove sei capace di riconoscere anche le altrui individualità, ti porta verso obiettivi che sicuramente da solo non raggiungi. Qualche passeggiata, fino ad arrivare al giorno fatidico in cui, zaino in spalla, divisi in tre squadre, assistite da professionisti della montagna, un gruppo di ragazzi parte da quota 1.000 metri per raggiungere obiettivi diversi e di volta in volta assegnati. Allora succede che t’incammini, mentre cartina e bussola alla mano, tracci insieme con la tua squadra i punti di riferimento che ti sono stati assegnati; cambi percorso là dove la neve impedisce il normale accesso, ti riposi all’ombra di un pino, per poi ripartire puntando gli occhi al tetto della casetta che è la meta finale; attraversi la “gola del vento” calpestando uno striminzito sentiero su uno strapiombo eccezionale; ti arrampichi, sul pendio attraversi la neve per raggiungere il costone di fronte, poi il silenzio totale. Un attimo di respiro, spalle alla montagna, davanti a te il mondo; ti sembra di possederlo, altro che prigione. Per un attimo il vento si ferma, le voci dei compagni d’avventura riecheggiano; ti senti al centro dell’Universo, riparti mentre il tuo sguardo si posa sui fiori di zafferano, ti volti complimentandoti con te stesso per il percorso che hai fatto. La Montagna come la vita, nelle tappe i tuoi anni, nel percorso alle tue spalle:l’età; nel percorso a te davanti: il futuro. Le tre squadre hanno percorsi diversi, ma tutte un’unica meta, un solo obiettivo, il riparo per la notte; lo intravedi e quando ti sembra a portata di mano eccolo che si allontana, per poi riapparire. La fatica ti pervade, i tuoi amici ti esortano a non mollare, mentre continui a salire. E’ il tramonto, dopo un giorno intero raggiungi la meta, dove una coltre bianca ti da il benvenuto : 2.100 metri la quota.
E’ un cocktail di emozioni dove a primeggiare c’è la soddisfazione;il tuo sguardo verso il punto da cui eri partito: non lo vedi più e ti rendi forse conto di quanto sei stato bravo; di quanto tutti lo siano stati. Anche se ci sono cose impossibili nella vita, è dovere di ogni essere vivente tentare almeno di affrontarle. “Mi sembrava impossibile, eppure ci sono riuscito”, credo sia stato il silenzioso commento di ognuno di noi. Il giorno dopo si ritorna “a valle” in funivia, resto senza fiato nel rivedere il percorso di ieri; resto alquanto incredulo. Soprattutto dopo aver ascoltato dall’istruttore che il percorso previsto era catalogato come “rosso” ( pericoloso), ma che in realtà la neve lo aveva reso “nero avanzato”: molto più che pericoloso. A tratti ho temuto, anche se le guide hanno costamente applicato le regole della sicurezza; per cui tutto era sempre sotto controllo. Paolo ci ha chiesto se il corso era di nostro gradimento, credo di condividere il pensiero di tutti, nel rispondere “SI”, magari dalla cima di un monte, affinchè l’eco lo moltiplichi. Come si fa a trasportare un’esperienza del genere, nel mondo del lavoro? E’ automatico. E’ semplice, un benessere acquisito in questo modo, ti fa crescere; lubrifica gli assurdi meccanismi dei conflitti; rimuove la ruggine che magari stagna nell’anima; allarga i confini della famosa “Zona di Confort”, oltre la quale l’uomo difficilmente si spinge. “E’ un’esperienza che non dovete soltanto inquadrare come lavorativa, è un’esperienza di vita” sono le parole di Paolo Tazzioli e con le quali concordo. Comunicare e Condividere per Migliorarsi, è la mia personale conclusione ed oggi aggiungo che “Nessun uomo ha come vetta se stesso”. Complimenti e grazie a tutti. Vincenzo Russo
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