Vincenzo Russo, il poeta/scrittorepresenta il suo nuovo libro “Distrazioni di massa poesie in lingua italiana e in lingua napoletana”.
L’evento è presso la Chiesa di San Severo al Pendino Via Duomo 286, Napoli. Il ricavato della vendita del libro (costo 14 euro)andrà in beneficenza all’associazione VITA.

L’INTRODUZIONE AL LIBRO
Il poeta scrittore Vincenzo Russo che gli amici chiamano Enzo ed io, napoletanamente, Besciè, sforna l’ennesimo libro, stavolta tornando al suo primo amore: la poesia. Ed è del tutto naturale per chi lo conosce, perché Enzo, acuto osservatore della vita sociale e delle miserie umane, sa che le ispirazioni gli derivano proprio dal suo sguardo altrove, ma non troppo lontano, perché il suo angolo di osservazione si chiama principalmente Napoli, la sua città. Infatti, guardandosi intorno non deve far troppa fatica, perché sa che in un fazzoletto di territorio di cinque metri troverà il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, il bello e il brutto, il ricco e il povero, l’intelligente e lo scemo, l’ingenuo e il furbo, l’allegro e il triste, insomma l’attore inconsapevole (o no) che c’è nel dna di tutti quelli che hanno la sorte di essere nati nella terra dell’incanto: Napoli.
La vena poetica però non è di tutti; anche se pare che la notte sia quella che maggiormente contribuisce a far lavorare la fantasia degli eletti, complice il silenzio, il cielo stellato la luna ammiccante, cornice utile a partorire storie e versi, facendo nascere idealismi puri e casti, creando mondi sublimi ed eccelsi. Enzo è tra costoro anche se preferisce camminare e non volare; lo dimostra facendo sì che le sue osservazioni su quanto lo circonda si trasformino in parole, e la metrica è a sua disposizione per i racconti in rime.
Così è nato questo libro, che l’autore ha voluto diviso in due parti: una in italiano (48) e l’altra in napoletano(40). Consiglio di leggere una poesia al giorno: l’ho fatto e per tre mesi ho navigato in un passato antico e nuovo scoprendo sempre nuovi stimoli per andare avanti.
Il mondo dell’autore, però, non è solo Napoli perché il resto del globo gli interessa ugualmente, visto che il tempo della storia gli fornisce argomenti di tutti i tipi: penosi (come la Shoa) o atti di eroismo “Aush e giaurrina” nel ricordo del Maggiore Giuseppe La Rosa, oppure gioiosi ne “I verbi dell’amore”. Ma la mia lettura dei componimenti è spaziata anche nel vernacolo dove si scopre che il vocabolario napoletano dà un sapore particolare ad ogni scritto. Poesie che sono racconti di vita e di speranza, allegre e tristi, riflessive e spensierate, così com’è lui. E non potrebbe essere diversamente.
Enzo, infatti, è un uomo allegro, giovale e pronto allo scherzo ma nelle sue composizioni si trasforma: sfoga i suoi dispiaceri con rabbia, usando parole che sembrano mazzate sui nostri comportamenti, sui nostri modi di essere, sulle nostre indifferenze spesso causa di dolori altrui.
E non è per caso che inizialmente, dieci anni fa, tanti quanto le sue pubblicazioni, (se non erro), vidi in lui il cantore del dolore umano: sia mentale che fisico. D’altra parte, la sua volontaria e naturale frequentazione negli ambienti dove si soffre (significativa oltre che memorabile la sua partecipazione ad un viaggio del dolore a Lourdes magistralmente illustrata ne “Il treno dei sogni”), lo hanno indirizzato su strade diverse da quelle dell’uomo comune ma non è perché ne vuole per forza parlare e scrivere ma perché riesce a vedere e comprendere ciò che in maggioranza ignorano o semplicemente non vogliono vedere. Lui lo evidenzia.
Certo, questi non sono tempi in cui la solidarietà impera; il nostro vivere quotidiano è radicalmente cambiato da almeno trenta anni. Le nuove tecnologie, poi, ci hanno spinto in una solitudine che ci allontana dal prossimo sempre più, complici i telefonini a cui manca solo che sappiano anche cucinare perché quelli sembrano essere diventati il nostro unico interesse: il nostro assoluto bene.
Ed ecco perché Enzo torna a “poetare” su temi dell’oggi ma anche dell’ieri e cerca di invogliare a guardarci dentro oltre che intorno. E ci fa sorridere e sperare quando racconta i suoi momenti, non pochi in verità, di osservazione del bello che ci offre la quotidianità delle nostre azioni o del nostro vivere. Per lui l’amore può tutto e lo descrive bene sia in italiano che in napoletano e poi tira le sue somme, senza pretendere di essere la verità.
Quanti di noi fermano qualche istante della loro giornata per guardare il cielo? C’è chi lo fa per capire se deve portare o no l’ombrello, altri per nascondersi al sole, Enzo no. Nella composizione “Concerto e cielo” la sua speranza: “Come vorrei cambiare,il mondo che c’è”, resta un appello che rivolge all’essere umano per ricordargli che in lui c’è ancora l’amore, la musica, l’arte oltre alla famiglia e al lavoro ricordandogli che la vita è una e basta. E’ l’unica poesia di cui parlo perchè contiene un elemento che si ritrova quasi in tutte le altre composizioni: il cielo. L’infinito azzurro che nel nostro immaginario porta purezza e luce lui lo usa come punto essenziale di riferimento per le sue invocazioni. Nel libro questi appelli sono ripetuti con motivazioni diverse ma tutte orientate verso il recupero dell’umanità che pure ha ogni essere umano.
Il “poeta del dolore” soffre dei mali altrui, li spiega, ne parla in rime e cerca di capire, anche lui, perché, nonostante tutto il male che facciamo o subiamo, siamo ancora qui.
Allo stesso tempo, però, inneggia all’amore, si lascia carpire dalla musica e incantare dall’arte e si accontenta di esserci e vivere una per una le sue emozioni. Leggere le sue composizioni significa tornare verso noi stessi magari scoprendo che il nostro mondo non è così piatto e spietato ma ancora una terra su cui poter vivere realizzando i nostri sogni sia pure solo con la poesia.
Gianpaolo Necco, amico di Besciè. sabato 18 Marzo ore 11, 2017
a: Vincenzo Russo [vincenzorussopoeta@gmail.com]

Categorie: Libri

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