Torna la voglia di nucleare, ma è troppo tardi, anche se la benzina continua a salire.
Toh, chi si rivede: la voglia di nucleare. C’era da aspettarselo con il petrolio a 50 dollari al barile.
La questione, in verità, sembrava morta e sepolta nel Bel Paese dal 1987, anno in cui il referendum – complice il disastro di Chernobyl – ha cancellato ogni velleità di energia nucleare made in Italy. Se ne riparla oggi per via della commissaria europea Loyola de Palacio che ha lanciato l’allarme con la consueta crudezza: solo un nucleare pulito ci può salvare, perché è affidabile e stabile nei prezzi – ha spiegato – e può consentire ai paesi europei di rispettare i vincoli imposti dai protocolli di Kyoto.
La De Palacio dice una verità che molti conoscono. Imbrigliare le emissioni di gas nell’atmosfera, come vogliono quegli accordi firmati a Kyoto, costerà infatti a ciascun paese un mucchio di soldi. E poiché le emissioni sotto accusa sono soprattutto quelle degli impianti tradizionali di produzione dell’energia, a noi che andiamo avanti a petrolio e a carbone questa ripulitura costerà ancora di più che agli altri: almeno 360 dollari a testa, è stato calcolato, 40mila miliardi di vecchie lire. Quanto una robusta manovra economica. Ma non ci sono solo i vincoli di Kyoto a rafforzare gli argomenti dei nuclearisti convinti. Per esempio ci sono anche i rischi e i limiti legati al petrolio. I prezzi salgono, e non solo per i venti di guerra che soffiano lì dove si estrae il greggio, ma soprattutto per la speculazione legata alla fortissima domanda di paesi emergenti come la Cina.
Le riserve, per di più, scarseggiano e i costi per sfruttare nuovi giacimenti sono troppo alti. C’è il carbone, si dirà, e ci sono le cosiddette fonti rinnovabili care a verdi e ambientalisti. Ma sia per il primo che per le seconde le cifre danno loro torto. Il carbone, per esempio, per costi e resa viene considerato solo una risorsa aggiuntiva, d’emergenza, utile a colmare eventuali picchi di domanda. Per l’energia da sole e da vento, invece, nonostante incentivi a pioggia per migliaia di miliardi, i risultati non sono stati affatto convincenti: i costi sono ancora molto alti e comunque riescono a coprire appena il 15-20 per cento della produzione totale di energia elettrica.
È molto meno, per esempio, dell’energia di produzione nucleare che compriamo ogni anno da Francia e Svizzera, un quinto di tutta quella che ci serve. Viviamo dunque nel costante paradosso di non poter costruire una centrale nucleare a Genova o a Como nonostante ce ne siano a iosa pochi metri più in là, in Svizzera o in Francia. E così, mentre ci dividiamo con i paesi confinanti gli eventuali rischi degli impianti, lasciamo agli altri tutti i vantaggi economici e ambientali. Alla fine, fatti i conti, ogni chilowattora prodotto in casa nostra ci viene a costare il 60 per cento in più di quello che importiamo. Così stanno le cose. Ma c’è poco da sperare, almeno nel breve tempo. Ogni scelta fatta oggi, infatti, dispiegherebbe i suoi effetti benefici solo tra una quindicina d’anni. E per arrivarci ci sarebbe bisogno del consenso popolare. Il pessimismo è d’obbligo. (Bruno Manfellotto, Il Mattino)
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