Acqua e semi, beni comuni per garantire un futuro alla terra.
Sono quelle della tutela della biodiversità e della tutela dell’acqua le sfide lanciate a Terra Futura da Vandana Shiva, direttore Fondazione di Ricerca per la Scienza, Tecnologia, ed Ecologia «Solo mantenendo queste risorse pubbliche, considerandole beni comuni è possibile garantire la salvezza e la salvaguardia del pianeta e della popolazione che ci vive». Shiva apre denunciando, instancabile, i gravi problemi conseguenti alla privatizzazione dell’acqua: «Quello principale è che l’acqua viene trasformata in merce e resa inaccessibile alla natura stessa, ad animali, piante e… ai poveri. Così l’acqua non scorre più secondo le regole della gravità, dalle colline al mare, ma seguendo le regole del profitto. Ciò porta anche più corruzione e conflitti e guerre, come purtroppo stiamo vedendo nel mondo. Così l’acqua diventa una sorta di “petrolio” per le multinazionali, che, come hanno investito per estrarre e privatizzare il petrolio, ora stanno cercando di farlo anche con le risorse idriche. Ma negare ai cittadini più poveri l’acceso a un bene come l’acqua vuol dire negare loro la possibilità di esistenza».
La privatizzazione è necessaria, si dice, perché solo con i relativi investimenti si potranno realizzare le infrastrutture: «È una bugia – sostiene Shiva -, perché questi soldi arrivano alle imprese multinazionali principalmente dai prestiti della Banca mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, e quindi gli investimenti delle multinazionali sono indirettamente i soldi dei privati cittadini. Le conseguenze della privatizzazione dell’acqua sono dunque non accesso all’acqua – perché “privatizzazione” dell’acqua significa nei fatti “esclusione” -, aumento delle tariffe, e aumento del debito pubblico nei confronti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale da parte di paesi già poveri. Alcune ripercussioni poi si riflettono nel corso degli anni come a Manila, in Sud Africa, in Argentina; a causa delle garanzie sui prestiti, anche quando le multinazionali se ne sono andate, senza rispettare i contratti, i paesi si sono trovati a pagare comunque il debito anche negli anni successivi. È questo il motivo principale per cui in India hanno lottato – e ci sono riusciti – per bloccare l’ingresso della Suez nella gestione delle acque di Nuova Delhi.
L’acqua come bene commerciale diventa motivo di conflitti tra stati ma anche tra comunità. Come rischia di accadere se sarà avviato un altro grande progetto della Banca Mondiale, quello del “River Linking” che intende unire il percorso di alcuni fiumi in India. «200 milioni di dollari di investimento – racconta Shiva -. In India stiamo facendo resistenza perché se questo progetto venisse realizzato significherebbe la guerra tra un bacino e un altro bacino, tra una comunità e l’altra, e guerre tra Nepal e India, Bangladesh e India, Cina e India. Noi invece vogliamo la pace».
Shiva sottolinea poi il fondamentale ruolo dei movimenti, della società civile. «Nella stessa Nuova Delhi il movimento è riuscito a cacciare la Banca Mondiale e ora è previsto un piano di cooperazione tra il sistema di distribuzione idrica e la cittadinanza, una Public Partnership, “pubblica” davvero».
Un esempio spettacolare è Cocha Bamba (Bolivia), dove un movimento dal basso è riuscito a cacciare la “Bentel” e si è formata una comunità-cooperazione, tra cittadini, sindacati, chiese per la gestione comune dell’acqua.
Riflessioni simili per i semi e la biodiversità, che vanno tutelati anch’essi come bene comune. «Manipolare la biodiversità (ogm) è eroderla – spiega sempre Shiva -, e significa erodere con essa i diritti di sopravvivenza dei contadini. In India 40.000 contadini si sono suicidati da quando la Monsanto ha iniziato a introdurre semi geneticamente modificati, i cosiddetti “semi terminator”, che durano un solo raccolto e costringono ogni volta i contadini a ricomprarli».
E a proposito di semi e di agricoltura sostenibile, ieri a Terra Futura tre coltivatori “custodi” toscani sono stati premiati per il loro impegno nella conservazione della biodiversità: un’iniziativa di ARSIA e di Regione Toscana. All’elenco dei “custodi” sono iscritti oggi 58 coltivatori toscani, che dal 1999 hanno riprodotto oltre 400 campioni di semi conservati presso la Banca regionale del germoplasma.
Sempre Regione Toscana e Arsia, in collaborazione con Legambiente Toscana, hanno presentato il “Progetto Activa”: uno studio per capire le potenzialità di sviluppo di alcune filiere agroindustriali toscane – colture dedicate ad uso energetico, biocarburanti, biolubrificanti, fitofarmaci di origine vegetale, fibre naturali, coloranti naturali, bioplastiche – e le potenzialità produttive di specie vegetali con utilizzazioni non alimentari. Il progetto culminerà, entro la fine del 2006, in una sperimentazione che vedrà viaggiare in Toscana autobus di linea, urbani ed extraurbani e camionette della nettezza urbana alimentati con carburante naturale, il biodiesel derivato dall’olio di girasole.
Tratto da l’Asterisco Informazioni di Fabrizio Stelluto

COS’E’ “TERRA FUTURA”.
Il 1° aprile a Firenze c’è la Mostra-convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità. Dai pannelli fotovoltaici al cibo biologico, dai laboratori sulla comunicazione non violenta ai gruppi di acquisto solidale, all’abbigliamento “responsabile”. Stand, convegni, laboratori e animazioni per costruire insieme un futuro sostenibile. Dai pannelli fotovoltaici ai sistemi per la riduzione del consumo idrico, dai detersivi ecologici alla spina alle vetture elettriche, dai prodotti bioplastici alla cartoleria ecologica, all’Energy Camper dotato di mini generatore eolico e impianto di illuminazione a basso costo, e inoltre, i cosmetici naturali, le proposte per favorire il turismo accessibile, la mobilità alternativa e la certificazione ambientale… tutto questo e altro ancora a Terra Futura (Firenze, Fortezza Da Basso, dal 31 marzo al 2 aprile) per garantire insieme un futuro alla Terra. Alla mostra-convegno delle buone pratiche di sostenibilità si può anche imparare a tingere i tessuti in maniera completamente naturale, a riciclare il materiale di scarto per realizzare “preziosi” gioielli o divertenti giocattoli, costruire e arredare la casa con i principi della bioarchitettura, vestirsi “responsabilmente”, comunicare in modo non violento per favorire la comprensione reciproca, partecipare ai gruppi di acquisto solidale, capire e rispettare il valore delle biodiversità… perché la sostenibilità prende vita a partire dalle piccole azioni quotidiane di ciascuno e dalle scelte di cittadini, associazioni, enti locali e istituzioni, imprese. Promosso e organizzato dalla Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per conto del sistema Banca Etica (Banca Etica, Consorzio Etimos, Etica SGR, Rivista “Valori”) e da ADESCOOP – Agenzia dell’Economia Sociale s.c., l’evento è realizzato in partnership con Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente. Per la prima volta allo stesso tavolo, in un percorso comune e condiviso, tante e diverse realtà operano per individuare insieme soluzioni concrete.Terra Futura è anche un’importante arena di dibattito dove troveranno spazio 180 appuntamenti culturali tra convegni, tavole rotonde e workshop. «Filo rosso di questa terza edizione è “La nostra Terra Futura: oltre il petrolio, oltre l’ingiustizia”, dove il petrolio è assunto come simbolo di un modello di sviluppo non sostenibile» spiega Ugo Biggeri, presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus. «L’accento sarà posto su alcuni evidenti paradossi che sono oggi sotto gli occhi di tutti. A partire dalla crisi energetica in corso, alle questioni connesse all’ingiustizia e alla povertà nel mondo. Sono temi forti di politica internazionale che ci sollecitano a gestire i beni comuni in maniera diversa e condivisa». Continua anche quest’anno, infatti, la riflessione sui beni comuni come possibile base di partenza per costruire un altro sistema socioeconomico che si preoccupi del loro mantenimento e della loro rigenerazione. Spazio inoltre ai temi del consumo e della produzione equi e sostenibili, della finanza etica, della responsabilità sociale d’impresa, del turismo solidale. E, ancora, tutela dell’ambiente, energie alternative e rinnovabili, bioagricoltura, bioedilizia, medicine non convenzionali, mobilità, politiche sociali, pace, diritti dei lavoratori, diritti umani, cooperazione internazionale, volontariato… Un programma culturale ricco e variegato (cui parteciperanno circa 680 relatori) a sottolineare come questioni ambientali, sociali ed economiche siano strettamente legate e interdipendenti tra loro, tanto da costituire un fronte unico rispetto ai problemi e ai rischi e, nel contempo, rispetto alle risposte possibili e agli impegni da portare avanti, anche a partire da Terra Futura.Vasto ed eterogeneo il ventaglio dei soggetti coinvolti. Tra questi, le reti di enti locali e istituzioni, tra cui Agenda 21 e Rete del Nuovo Municipio, impegnati nella sostenibilità, nella democrazia partecipata, nella promozione della pace e non solo… Presenti anche le realtà del commercio equo e solidale: un momento su tutti la “Conferenza internazionale delle Botteghe del Mondo”, che rifletterà sulla concreta capacità delle BDM di essere agente di solidarietà e di cambiamento sociale. A Terra Futura convogliano inoltre “le forze dei movimenti” che si incontrano e si preparano in vista del IV Forum Sociale Europeo (in maggio ad Atene) e di quello Mondiale. Non mancano le riflessioni e i dibattiti dedicati al mondo imprenditoriale come la “Giornata sulla Responsabiltà Sociale d’Impresa a Terra Futura” promossa dalla campagna
“- Beneficenza + Diritti”. In programma anche la Seconda Assemblea Nazionale del Foro Contadino Altragricoltura per la sovranità alimentare e la presentazione dell’edizione italiana di “State of the world 2006”, il rapporto annuale del Worldwatch Institute. Sono inoltre previsti momenti di preghiera interreligiosa a sottolineare l’importanza del dialogo tra culture.
A Terra Futura, la sostenibilità è anche divertimento. Musica, teatro e numerose animazioni per grandi e piccoli affiancheranno il programma culturale e la visita ai padiglioni: 100 mila metri quadrati di area espositiva per 390 realtà in mostra (65 istituzioni, 190 imprese, 135 realtà non profit) per oltre 3.000 enti rappresentati.Per il programma completo consulta www.terrafutura.it
Terra Futura 2006 è realizzata in collaborazione con Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA, Centro SIeCI-Mani Tese, Coordinamento Agende 21 locali italiane, FISAC CGIL Toscana, Rete di Lilliput, Rete Nuovo Municipio, WWF, Wuppertal Institut, Coordinamento Nazionale Enti locali per la Pace e i Diritti Umani, FIBA-CISL, FederBio – Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica, INBAR – Istituto Nazionale di Bioarchitettura, AzzeroCO2, Associazione Botteghe del Mondo Italia, AGICES – Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale, AIAB – Associazione Italiana per Agricoltura Biologica, Fairtrade TransFair Italia.Con il patrocinio, tra gli altri, del Segretariato Sociale RAI.
(da Asterisco Informazioni di Fabrizio Stellato)

Il futuro delle energie rinnovabili e i limiti di Kyoto Intervista realizzata da Karl-Ludwig Schibel a Hermann Scheer (*)

Hermann Scheer,deputato nel Bundestag tedesco e presidente di EUROSOLAR sarà ospite il prossimo 1 aprile di Terra Futura, alla Fortezza da Basso di Firenze. Insieme a Stephan Kohler dell’Agenzia Energetica Tedesca, Eric Assadourian del World Watch Institute ed esperti italiani discuterà gli scenari energetici dei prossimi due decenni in Italia e nel mondo. L’”avvocato del solare” e uno dei padri della legge tedesca per le energie rinnovabili, si esprime a favore di una svolta decisa ed immediata verso le energie rinnovabili e critica le speranze nel metano come soluzione intermedia, il “carbone pulito” e l’idrogeno come tante strade sbagliate per tener in vita il sistema energetico esistente.
Domanda: Nella diffusione dell’energia rinnovabile che, come lei sa, in Italia sta avanzando molto lentamente lei parla di una “bugia energetica” che viene curata sistematicamente”. Qual è la bugia e chi la cura?
Scheer: La bugia è che il potenziale di energie rinnovabili non sia sufficiente a sostituire completamente le energie fossili per soddisfare il fabbisogno energetico. Quando si ammette che questo è possibile in via di principio l’argomento è che ci vuole molto, molto tempo. Entrambe le varianti di questa bugia servono per perpetuare e legittimare il sistema energetico convenzionale.
Domanda: Infatti anche quelli che parlano a favore delle energie rinnovabili dicono che uno scenario ottimistico di transito verso le energie rinnovabili prevede nel 2050 una quota del 50%. Il che significa che continueremo ad avere un 50% di energie fossili. Lei sarebbe più ottimista?
Scheer: Naturalmente sono più ottimista, l’ho descritto in tanti articoli e libri e più recentemente nel mio libro “Autonomia energetica”. Ci sono tante ricerche che dimostrano in modo inconfutabile la possibilità di un ri-orientamento completo entro il 2050 verso le energie rinnovabili. Se questo è possibile non esiste nessuna ragione di non farlo e sicuramente ancora meno una ragione per non dirlo.
Domanda: Sull’energia eolica in Italia c’è una grande resistenza. Uno degli avversari più visibile è l’ex commissario all’Ambiente dell’Unione Europea e attuale presidente di Italia Nostra, Carlo Ripa di Meana, anche il nostro Ministro all’Ambiente, Altiero Matteoli, ha detto che forse gli impianti eolici possono andare bene nelle pianure della Germania del nord dove non possono distruggere molto ma che non va bene di riempire il paesaggio italiano con questi brutti impianti. Lei cosa dice?
Scheer: Io la considero un’idea assurda e nel contempo un’idea molto ortodossa di protezione del paesaggio. Non esiste più su questa terra neanche un metro quadro di paesaggio protetto. A causa del nostro sistema energetico tradizionale, con il suo inquinamento atmosferico, i suoi cambiamenti climatici, le sue ripercussioni sul ciclo idrico, le siccità, lo scioglimento dei ghiacciai, delle cappe polari, del ghiaccio in Groenlandia, del permafrost, la progressiva desertificazione, le catastrofi da inondazioni, tutto questo ci dimostra che il paesaggio non è più protetto anche se mai nessun essere umano vi entra. Questi fenomeni sono una conseguenza del nostro sistema energetico, come anche dell’uso dell’energia nucleare, che produce calore addizionale che altrimenti non esisterebbe nel computo naturale di calore di questa terra e il suo rapporto con il sole. L’unica prospettiva di protezione del paesaggio è di evitare tutte
queste conseguenze del nostro sistema energetico attuale e di stabilire, con la svolta verso un sistema di energie rinnovabili, un nuovo equilibrio. Però questo nuovo sistema energetico ha bisogno anche di terreni dove si istallano i nuovi sistemi. Quindi l’argomento della protezione del paesaggio, come viene usato per esempio da Ripa di Meana, è un modo decontestualizzato di vedere le cose, è uno sguardo isolato sul piccolo biotopo in un periodo dove il biotopo terra è minacciato nella sua totalità. Per questo ogni tentativo di opporsi agli impianti ecologici nel nome della protezione del paesaggio, sono al contempo tentativi – coscienti o incoscienti – di dare una protezione politica al sistema energetico convenzionale.
Domanda: E lei non vede nessuna necessità di agire a favore di render e il sistema energetico esistente più ambientalmente compatibile? Per esempio sotto forma di un uso pulito del carbone e di sequestro e stoccaggio del CO2 sotto terra o nel mare?
Scheer: Qui di nuovo siamo testimoni di promesse di innovazioni tecnologiche miracolose per fornire nuove legittimazioni alla manutenzione del sistema energetico esistente. I rischi di queste nuove tecnologie non vengono nominati, come per esempio il problema di dove stoccare la CO2. Vogliamo mettere il CO2 sequestrato nel mare, con tutte le conseguenze che sono imprevedibili? O sotto terra nelle miniere dismesse, con il rischio che si verificheranno delle perdite? Inoltre i costi che devono essere sostenuti sono molto, molto più alti di quelli per la mobilitazione delle energie rinnovabili. Tutto questo è chiaramente in tavola e favorire lo stesso il clean coal, carbone pulito e cercare di evitare in questo modo l’introduzione delle energie rinnovabili è senza prospettiva e senza misura. Domanda: Lei è un politico, l’esperto energetico del Partito Social Democratico…?
Scheer: Io non sono un esperto energetico del Partito Social Democratico. Rifiuto il concetto dell’“esperto energetico” perché trae in inganno. Gli esperti energetici fanno parte del problema. Loro guardano il sistema energetico attuale nella falsa prospettiva che potrebbe essere neutro in riferimento alle varie fonti energetiche. Il che non è vero, non può essere. Ogni sistema di rifornimento energetico ha un suo taglio preciso con tutta la sua infrastruttura, la sua apparecchiatura tecnica, con delle strutture anche imprenditoriali per la forma di energia per la quale si è deciso. Val e a dire il nostro sistema energetico attuale non è neutro verso altre fonti energetiche.
Domanda: Va bene, in tal caso mi faccia fare la domanda in modo diverso. Lei è una persona che pensa politicamente, è stato onorato dal Time Magazine come “Green Hero of the Century” e questo sicuramente è incoraggiante.
Scheer: No il titolo è “Hero for the Green Century” perché il secolo non è ancora verde!
Domanda: lo stesso si deve dire che lei nel rifiuto del commercio delle emissioni e del processo di Kyoto è abbastanza solo nel campo ambientale. Dopo l’ultima conferenza delle parti, la COP 11 di Montreal, sono rimasto perplesso anche io che quasi tutte le organizzazioni ambientali abbracciano a pieno cuore questo processo. Un simbolo era l’adesivo del WWF “I love Kyoto”. Questo non le fa sorgere la preoccupazione per che cosa si può contrapporre a questa grande speranza nel mercato come meccanismo dominante e quasi esclusivo per portare avanti il processo di protezione del clima?
Scheer: L’emission trading non ha niente a che vedere con il mercato! Anche se c’è la parola commercio, trading. Questo strumento comporterà una totale burocratizzazione della protezione ambientale e una riduzione del problema dell’energia e della protezione allo scambio di certificati. Mi dispiace ma si tratta proprio dello strumento peggiore che ci sia. E’ preferibile al non fare niente, ma tra tutti gli strumenti esistenti è quello peggiore. E’ peggio come strumento e molto più burocratico di qua lsiasi tassa ecologica, è molto peggio come strumento della legge tedesca a favore delle energie rinnovabili che solo negli ultimi 6 anni ha contribuito ad evitare 50 milioni di tonnellate di CO2, mentre l’attuazione del Protocollo di Kyoto per la Germania fino al 2012, attraverso l’emission trading e gli altri due meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto, hanno come obiettivo solo 10 milioni di tonnellate. Il problema del Protocollo di Kyoto sono i meccanismi flessibili e mi dispiace doverlo dire, non mi irrita minimamente che siamo in pochi che lo diciamo. Però non sono il solo, ci sono molti altri; più che non si pensi. Nomino solo Wolfgang Sachs che ha messo anche per iscritto una dura critica anni fa quando è stato presentato il Protocollo di Kyoto.
Domanda: E’ vero. Al tempo, immediatamente dopo l’uscita del Protocollo di Kyoto eravamo in molti che l’hanno criticato. In seguito la maggior parte ha ripensato la propria posizione. Scheer: Hanno fatto una svolta per un falso senso di realismo. Nel corso delle conferenze internazionali si è affermato un meccanismo di integrazione. Le organizzazioni non-governative sono state coinvolte, sempre di più si è diffusa la sensazione di influenzare il processo e la conseguenza è stata un adattamento, un arrangiarsi. Così come si può osservare criticamente con i partiti politici, cosa sono diventati gli obiettivi di fondo nella prassi, dove cominciano a fare compromessi. Sarebbe ingenuo pensare che questi meccanismi non si verifichino con le organizzazioni non-governative. Lancio alcuni spunti per rendere comprensibile questa critica. 1. Comincio con il concetto che già ci mette su un sentiero sbagliato, il “diritto alle emissioni” che è altamente problematico. Se sostituiamo il concetto del diritto alle emissioni con quello del diritto ad uccidere tutti rimangano sconvolti. Però le emissioni di oggi uccidono, in molti modi; si deve solo guardare i rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità o le conseguenze dell’utilizzo convenzionale dell’energia sotto forma dell’inquinamento atmosferico, non prendendo neanche in considerazione i cambiamenti climatici. Per questo ritengo il “diritto alle emissioni” è insopportabile.2. Inoltre, con i meccanismi flessibili, l’obiettivo minimo del Protocollo di Kyoto di ridurre le emissioni del 5 % entro il 2012 – e questo solo tra i paesi industrializzati che hanno ratificato il Protocollo – diventa di fatto il limite massimo del proprio agire. 3. Chi potrebbe immaginarsi che con questi strumenti ci sarà il grande salto in avanti nella fase di Post-Kyoto? Nessuno se lo può immaginare sul serio, se si agisce con un obiettivo minimo di questo tipo e se poi si fanno le grandi lodi di ciò, riduce in modo drastico la legittimità e l’autorità della voce delle organizzazioni ambientali ad un piatto pragmatismo.4. E come ultimo punto: Il Protocollo di Kyoto fa venire a meno o elimina totalmente la propria responsabilità che una volta, dopo la Conferenza di Rio, si è concretizzata nello slogan “Pensare globalmente, agire localmente”. Questo pensiero viene cancellato con l’emission trading. Viene messo in vigore un meccanismo per allocare i mezzi finanziari in quell’angolo del mondo dove l’efficienza di riduzione delle emissioni è più alta. Con il risultato logico vincolante, se il sistema veramente funzionasse – il che non sarà il caso – che un qualsiasi investimento nella protezione dell’ambiente che ha a che vedere con i gas serra in un paese sviluppato, ad alto livello di redditi come i paesi dell’Unione Europea, sarebbe da considerare come non etico perché sempre si potrebbe dimostrare che in un qualche altro luogo del mondo un altro attore potrebbe fare con gli stessi mezzi finanziari una riduzione più grande di CO2. Vale a dire che l’elemento della responsabilità immediata, individuale e locale viene eliminato in una mentalità tecnocratica. Il concetto della responsabilità viene anonimizzato e in tal modo eliminato. Mi dispiace, ma considero agghiacciante come vengono fatte le lodi del Protocollo di Kyoto e sono convinto che molti fra qualche anno saranno sorpresi di se stessi, di come potevano avere al tempo uno sguardo così privo di critica.
Domanda: Lei sicuramente avrà occasione di approfondire questo punto a Terra Futura visto che ci sono molti che cercano proprio di usare il commercio con i certificati di emissioni come strumento per motivare i privati, ma anche gli enti pubblici, ad impegnarsi a favore della protezione del clima.
Scheer: Senza fare un passo indietro nella mia dura critica va detto che in quei paesi dove non c’è nessuna legislazione adeguata che andrebbe oltre il Protocollo di Kyoto, ci si appoggia sull’unico strumento che attualmente è a disposizione. Non è una ragione sufficiente per glorificare questo Protocollo. Se gli Stati Uniti d’America avessero ratificato il Protocollo di Kyoto oggi il dibattito sarebbe molto più critico. Solo perché gli Americani erano contro il Protocollo di Kyoto molti pensano che sia una buona cosa. Si tratta soltanto di un effetto psicologico. A Montreal durante la COP 11 ho parlato con molta gente e mi sembra piuttosto visibile come andranno le cose con Kyoto 2, quale sarà la politica favoreggiata dai governi: il carbone pulito e l’energia nucleare.
Domanda: Ma possiamo essere d’accordo che questa spinta verso l’energia nucleare è senza chance?Scheer: Ma no! Chi lo dice?Domanda: In Germania voi avete un unico Ministro che è a favore dell’energia nucleare. In Italia periodicamente questo dibattito risorge, ma io non vedo nessuna chance realistica che questa tecnologia si riaffermi.
Scheer: Io ammonisco di non prendere sul serio questo fenomeno della propaganda a favore della rinascita dell’energia nucleare. Chi sottovaluta un avversario ha già perso. Il dibattito della rinascita dell’energia nucleare è in atto a pieno ritmo a livello globale ed è organizzata perfettamente e ci sono dei gruppi molto potenti che ci stanno dietro.
Domanda: Quindi mentre io direi che questo dibattito è risorto ogni tanto da quando è successo Chernobyl, ormai 20 anni fa, ma di fatto sono stati costruiti molto meno impianti e si tratta di una tecnologia in via d’uscita lei ci mette in guardia di non sottovalutare l’avversario?
Scheer: Infatti, non dobbiamo sottovalutare la minaccia nucleare. La Cina ha annunciato che costruirà altri 32 impianti, l’India sta progettando nuove centrali, andrò prossimamente in Vietnam perché lì c’è un dibattito dove alcuni vogliono impedire al governo attuale di promuovere l’energia nucleare. Un altro fatto preoccupante: la Commissione Europea vuole triplicare il finanziamento per EURATOM. Sono pochi indicatori, ma significativi. La decisione degli Stati Uniti del 2001 di uscire dal Protocollo di Kyoto ha liberato la strada per escludere l’energia nucleare dalle forme di energia che contribuiscono alla salvaguardia del clima. Predico che questa decisione non troverà una maggioranza per Kyoto 2.
Domanda: Lei vuole dire che l’energia nucleare farà parte di Kyoto 2?
Scheer: Sì è proprio quello che voglio dire. Lei guardi la posizione britannica di Tony Blear, conosciamo ormai la posizione della Francia, quella del Giappone che chiaramente va a favore del nucleare, gli italiani, gli americani, i russi, i cinesi. Sarebbe irresponsabile sottovalutare questa rinascita dell’energia nucleare che è solo all’inizio. Non si tratta di un fuoco di paglia. E di nuovo ci troviamo di fronte alla bugia energetica con l’affermazione che per ragioni di protezione del clima non si può rinunciare all’energia nucleare perché le energie rinnovabili richiedono troppo tempo o non bastano. Torniamo sempre sullo stesso punto: vengono ignorate sistematicamente tutte le ricerche che sono state fatte per il Governo Tedesco, per l’Unione Europea, negli Stati Uniti o la Francia, che io cito nei miei libri e che affermano la possibilità di una svolta piena verso le energie rinnovabili. Tutto questo viene ignorato perché è ovvio che con la trasformazione verso le energie rinnovabili il sistema energetico attuale non continuerà ad esistere.
(*) Dr. Hermann ScheerDr. Hermann Scheer (1951) è dal 1980 deputato al Bundestag tedesco. Laureato in Scienze Economiche e Sociali, dopo i suoi studi all’Università di Heidelberg e Berlino è stato dal 1972 al 1976 ricercatore all’Università di Stoccarda e dal 1976 al 1980 ricercatore al Centro per la Ricerca Nucleare a Karlsruhe nel settore Analisi di Sistemi.E’ presidente dell’Associazione Europea per le energie rinnovabili EUROSOLAR e presidente del Consiglio Mondiale per le energie rinnovabili. Hermann Scheer ha ricevuto nel 1998 il premio Solar mondiale, nel 1999 il premio Nobel alternativo (Right Livelihood Award), nel 2000 il premio mondiale per la Bio-energia, in una parola EDIENERGIA, nel 2004 il premio mondiale per l’Energia Eolica ed è stato nominato da Time Magazine “Hero for the Green Century”.
È autore, tra l’altro, di “Il solare e l’economia globale, energia rinnovabile per un futuro sostenibile

La comunità – l’unità chiave del cambiamento sociale
Intervista realizzata da Karl-Ludwig Schibel a Erik Assadourian (*)
Erik Assadourian, ricercatore al World Watch Institute, sarà ospite il prossimo 1 aprile di Terra Futura, alla Fortezza da Basso di Firenze. Insieme a Stephan Kohler dell’Agenzia Energetica Tedesca, Hermann Scheer, presidente di Eurosolar ed esperti italiani discuterà gli scenari energetici dei prossimi due decenni in Italia e nel mondo. La sua chiave di svolta per il futuro delle energie rinnovabili è nella comunità come unità d i cambiamento.

IL PROGRAMMA
II sessione del programma culturale di Terra Futura
NUOVE ENERGIE PER UN NUOVO MONDO
SABATO 1 Aprile NELLA PIAZZA
ore 10.00 – 12.00
Sala Terra Futura
“Fuori dal petrolio, energia per la pace” scenari energetici in un mondo in guerra
Coordina Karl-Ludwig Schibel
Un futuro energetico sostenibile in un mondo insicuro
Stephan Kohler, Agenzia Energetica Federale Tedesca
Fornire energia all’Italia del 2006; Il solare e l’economia mondiale
Hermann Scheer, Deputato al Bundestag e Presidente di Eurosolar
Energia e giustizia globale in un mondo insicuro
Erik Assadourian, World Watch Institute, Washington
Discussants:
Mario Agostinelli, Patto mondiale per l’Energia e il Clima
Gotelind Alber, Climate Alliance
Renzo Bellini, Segretario Confederale CISL
Klaus Falgiani, Gamesa Italia
Roberto Longo, Presidente APER
Massimo Serafini, Segreteria Nazionale Legambiente
“Guerre alla finestra”
Paolo Beccegato, Alex Zanotelli

L’INTERVISTA A ERIK ASSADOURIAN (nella foto) realizzata da Karl-Ludwig Schibel
“La comunità – l’unità chiave del cambiamento sociale”.
Domanda: Potrebbe darci una sintesi di come percepisce le tendenze globali di consumo dei carburanti fossili e il futuro delle energie rinnovabili?
Assadourian: Sono convinto che uno scenario realistico è che continueremo ad utilizzare carburanti fossili, anzi che ne diventeremo più dipendenti invece di allontanarcene. In parte questo ha a che vedere con l a struttura del sistema energetico esistente e i poteri economici in questo settore, con l’interesse delle grandi compagnie di mantenere il monopolio in queste industrie. Certo, potrebbero fare la transizione alle energie rinnovabili e posizionarsi come leader nel campo, ma la strada più facile e più redditizia è di continuare ad andare nella direzione in cui stanno andando. Uno scenario in cui vedo che le energie rinnovabili diventeranno una forza dominante è quello in cui sono pensabili come risultato dello sforzo di un movimento concertato della società civica che simultaneamente esercita pressioni sulla politica, sui governi del mondo e direttamente esercita pressioni sulle corporation chiedendo questa transizione verso un’economia di energie rinnovabili e un’industria meno energivora.
Domanda: Quindi non sarebbe una questione del petrolio che diventa più raro, dei prezzi che salgono, della situazione della sicurezza globale che diventa più minacciosa?
Assadourian: No, non penso. E’ vero che se i prezzi aumentano alcune energie rinnovabili ne trarranno vantaggio, quindi si allargherà il consumo del biodiesel, ma visto che il consumo di energia complessivamente cresce e i prezzi aumentano in modo da rendere redditizie anche estrazioni di petrolio che prima non lo erano, nuove forme di carburanti fossili riempiranno il vuoto, insieme al carbone, sia quello che artificialmente viene chiamata “clean coal” o il vecchio carbone normale.
Domanda: Lei parla di “artificialmente” perché dubita delle possibilità di rendere il carbone più pulito?
Assadourian: Ci sono due aspetti del carbone, i componenti tossici che vengono rilasciati nella combustione e tutto questo può essere abbattuto, alzando naturalmente i costi, ma per quanto riguard a la mitigazione dell’effetto serra non mi convince di sequestrare l’anidride carbonica, perché per quanto tempo sarà efficiente il sequestro del carbonio stoccato in una miniera dismessa? Per quanto tempo questo sarà al sicuro? Per 100 anni, per 500 anni? Prima o poi questa anidride carbonica uscirà, quindi il problema viene solo spostato.
Domanda: Questo suo scenario cosa significa per il cambiamento climatico?
Assadourian: Ci sono due scenari quello del business as usual dove i cambiamenti climatici veramente andranno fuori controllo e questo sicuramente non significherà che la gente avrà paura e smetterà di usare le energie fossili, ma che invece diventerà più dipendente da risorse territoriali, come per esempio il carbone. Dal mio punto di vista di cittadino americano posso dire che il nostro governo non sarà una forza propulsiva per un modello di energie rinn ovabili, salvo che la maggioranza dei cittadini americani cambieranno la propria posizione, per paura o per entusiasmo, sulle energie rinnovabili ed eserciteranno pressioni sul governo e sulle grandi imprese. Quindi la forza decisiva sarebbe un movimento globale dal basso.
Domanda: Rimaniamo con le grandi imprese. Lei giustamente dice che il sistema esistente è costruito sulle energie fossili e continuerà a sfruttare queste risorse. Nell’ultimo capitolo del State of the Word Report 2006 con il titolo “La scommessa delle corporation etiche” lei mette una speranza considerevole nel business come un partner indispensabile per un futuro energetico sostenibile. Una parte consistente del movimento ambientale avrebbe dei problemi a credere ciò. Le grandi imprese vivono sotto l’imperativo “crescere o morire”, devono fare un guadagno e quelle che lo fanno con l’immagine verde, come British Petroleu m, estraendo il petrolio recano dei danni ambientali altrettanto devastanti della Exxon. Che cosa significa poi se BP, una delle compagnie petrolifere più grandi del mondo, comincia ad usare nel marketing lo slogan “oltre il petrolio” e chiede in una delle sue pubblicità quanto è grande la sua impronta ecologica?
Assadourian: Significa che hanno un’eccellente agenzia di pubbliche relazioni! E’ giusto che vivano sotto questo imperativo, ma è anche giusto che il business sia indispensabile per un futuro energetico sostenibile, semplicemente perché ha tante risorse, ma non sono molto ottimista che saranno la forza propulsiva di questo processo. Però quando sono sotto pressione da parte dei loro stakeholders e da parte dei loro azionisti, quando i governi cambiano e se i governi cambiano le regole del gioco, questo poi produrrà i cambiamenti. Ci sono alcuni leader industriali che sicuramente fanno parte del processo verso un’economia sostenibile. Certo che BP fa le sue campagne pubblicitarie a favore dell’ambiente per evitare di diventare bersaglio delle organizzazioni non governative nella denuncia delle imprese per i loro comportamenti anti-ecologici e anti-umanitari con azioni spettacolari, come per esempio incatenarsi alle porte della loro sede principale. Si tratta, se vogliamo, di un tipo di assicurazione. Ma il tutto non si limita a ciò, BP ha comprato anche delle compagnie che producono collettori solari, quindi fanno qualche passo via dal fossile anche con dei profitti nel settore del rinnovabile.
Guardiamo l’esempio della GE (General Electric), la nona più grande corporation a livello mondiale. Nel 2004 ha lanciato il suo progetto “ecomagination” con l’impegno di investire, nei prossimi cinque anni, un 1,5 miliardi di dollari in tecnologie ambientali e di ridurre le emissioni di gas serra, entro il 2012, dell’1%. Il movente dell’impresa è esplicitamente economico: entro il 2010 prevede di avere dei ricavi intorno ai 20 miliardi di dol lari dalla costruzione di turbine di gas ad un elevato rendimento ed altri prodotti “verdi” tipo locomotive ibride diesel/elettriche. Se guardiamo il mondo del business ci sono diverse forze propulsive che nella mia valutazione però complessivamente non basteranno per fare il cambiamento. Ci vuole di più, cioè le pressioni da parte di stakeholders. In questo contesto i movimenti sociali hanno un ruolo chiave.
Domanda: Sicuramente siamo d’accordo in questa enfasi sul ruolo del movimento dal basso solo che in Europa una parte del movimento sicuramente a lei porrebbe la domanda: è veramente il caso di concentrare le nostre energie cercando di essere il bastone o la carota per le grandi imprese o non concentrare la nostra energia ad esercitare pressioni sulla politica e a costruire un altro mondo a un livello locale, territoriale?
Assadourian: Mi piace questa domanda se l’obiettivo non dovrebbe essere di mettere le comunità locali in grado di cos truire sistemi energetici territoriali in piccole unità decentrate o se dovremmo concentrarci sulle grandi compagnie. Sono convinto che questi sono due lati della stessa medaglia, non tutte le organizzazioni non governative si sentono a loro agio nel cercare di esercitare delle pressioni sulle grandi imprese e fare delle manifestazioni per strada e altre hanno grandi capacità di lavorare dentro le comunità locali. Penso che tutti e due gli approcci sono essenziali per esercitare delle pressioni sulle grandi imprese e per portare avanti i processi nelle comunità locali, principalmente per tre ragioni:
Più viene rafforzato il potere economico locale, più diminuisce il potere economico delle grandi imprese transnazionali. Relocalizzando la nostra economia diventiamo più dipendenti dall’agricoltura sul luogo, dagli impianti eolici e dai collettori solari che sono o di proprietà della comunità o di gruppi di individui organizzati come cooperative. Tutto questo diminuirà il potere delle grandi imprese.
In una cultura individualista noi spesso vediamo l’individuo come agente del cambiamento sociale, ma penso che qui c’è un problema perché l’individuo singolo è spesso sotto molte più pressioni e non dispone di una rete di sostegno. Una comunità è l’unità chiave per il cambiamento sociale, sono le comunità che cambiano e cambiando imparano che stanno meglio con un’economia localizzata, hanno meglio da mangiare a causa dell’agricoltura locale, si abbassano le bollette e hanno a disposizione più tempo.
Nel caso dello scenario peggiore, se dovessimo veramente entrare in una nuova età buia con i sistemi ambientali intorno a noi che si stanno indebolendo. Questo non mi piace come argomento e sicuramente non è una forza principale per la costruzione di comunità sostenibili.
Domanda: Quindi lei vede un ruolo complementare tra rafforzare le comunità locali ed esercitare press ione sulle imprese transnazionali?
Assadourian: Sì, assolutamente.
Domanda: Possiamo dire che il suo modello è che nel medio andare avremo una interazione tra un’economia che va avanti a forza del mercato e un pubblico di stakeholders che agiscono sulla base di valori?
Assadourian: Direi un’economia ecologica del mercato insieme ad un pubblico motivato da valori. Questo modello potrebbe funzionare se la maggior parte dei costi ecologici fossero internalizzati ai costi dei beni economici: il costo del carbonio, il costo dei rifiuti tossici che vengono prodotti e tutti gli altri effetti secondari che attualmente rimangono completamente fuori dai calcoli dei costi.
Domanda: Il mercato potrebbe essere un meccanismo valido nella misura in cui i costi ambientali attualmente esterni vengano internalizzati?
Assadourian: Si, penso che il mercato potrebbe funzionare se l’input e l’output fossero accurati, in questo momento non sono corretti.
Domanda: E qual è la sua valutazione, in questo contesto, del commercio delle emissioni come uno strumento per combattere i cambiamenti climatici?
Assadourian: Penso che abbiamo bisogno di ogni strumento di cui disponiamo, l’emission trading ha molti problemi tra di loro che gli Stati Uniti non vi partecipa, il che è una grande distorsione del processo, inoltre il prezzo del carbonio è basso; il clean development mechanism non funziona del tutto accuratamente però penso come principio è una buona idea, è un modo di internalizzare dei costi dei cambiamenti climatici, in modo che l’uso delle energie fossili diventa più costoso in paragone al sole o al vento. Se si potesse far funzionare questo commercio sarebbe una buona cosa.

(*) Erik Assadourian
Erik Assadourian, dopo gli studi di psicologia e antropologia, ha lavorato come ricercatore in India e nel campo della cooperazione nella Repubblica Dominicana. In seguito è stato organizzatore ambientale con il “U.S. Public Interest Research group”, impegnato nella sicurezza chimica e il rapporto tra sostanze tossiche e salute. Dal 2002 è ricercatore al World Watch Institute di Washington ed è stato co-direttore del “State of the World 2005”. Le sue aree di special izzazione sono: sicurezza globale, consumo, responsabilità sociale delle imprese, comunità sostenibili e cambiamento culturale. Ha pubblicato numerosi articoli, in particolare sulle minacce dalla nostra cultura consumistica; è a sua firma il capitolo conclusivo del “State of the World 2006”, “La scommessa delle corporation etiche”, Edizioni Ambiente.

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