Nessuna accoglienza per la pecora sbarcata a Lampedusa con gli immigrati: è stata soppressa
di Oscar Grazioli, veterinario

Ancor prima di scrivere, leggo già le parole di scherno dei vari
“sventrapapere”, “squartatope”e “stuprapassere” di turno. “Grazioli, ti sei bevuto l’ultimo neurone.
Pensa ai bambini, ai migranti tuffati nell’acqua di notte da quei bastardi degli scafisti.
Una pecora, ma figurati se uno deve andare a pensare alla sorte di una pecora!”.

Ebbene, sì, non me ne frega niente di quello che mi direte, ma pensando a quel barcone sbarcato a Lampedusa pochi giorni fa con a bordo dodici uomini, sei donne un bimbo e una pecora, proprio a lei mi viene da pensare, perché, a differenza dei migranti, è andata incontro a un triste destino che non si meritava.
“I tunisini li rimpatrieremo, la pecora non lo so”, ha scherzato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che l’ovino fosse stato caricato per una sorta di goliardata.
Il proprietario e un suo amico, già noti per essere stati rimpatriati una volta, avrebbero giustificato la presenza a bordo dell’animale con il fatto che si trattava di un regalo fatto da mamma per festeggiare, una volta sbarcati in Italia.
Francamente ci credo poco e ritengo molto più credibile quanto ha raccontato la madre del bambino e cioè che la pecora potesse servire per fornire il latte supplementare necessario al piccolo durante la traversata ed eventualmente poi come carne in caso di difficoltà a procurarsi da mangiare.

Sia quel che sia, uomini, donne e bambino sono stati scortati dalla motovedetta della Finanza fino in porto e, una volta sbarcati, accolti nel centro a loro riservato in attesa forse di essere rimpatriati o di trovare un buco nelle maglie dei recinti (o della burocrazia) per rendersi irreperibili e raggiungere le famiglie in Francia o nel Nord Italia.
La pecora invece è rimasta sulla barca, in attesa che qualcuno decidesse cosa farne.
Gli zelanti (anche troppo) veterinari delle varie Ausl interessate non si sono fatti impietosire dal primo animale migrante sbarcato sulla nostra isola, da un animale che di notte allargava le narici incredulo di sentire quel profumo acre di salsedine, tanto lontano dagli effluvi degli arbusti e dell’erba secca di casa.

Visto che nell’area da cui proveniva la pecora c’è l’afta epizootica (una malattia epidemica ma benigna che colpisce gli ungulati) non si è potuto far altro che spararle un colpo in testa e bruciarne “la carcassa”, come hanno sentenziato le autorità veterinarie del luogo.
Nessuna quarantena, nessun esame del sangue, nessuna visita accurata, per accertare che fosse in buona salute e ospitarla quasi come un simbolo di pace (pecore, agnelli, colombe lo sono). Un proiettile nel cranio e la faccenda è chiusa.
Pochi giorni fa un cigno è “atterrato” su un’autostrada inglese all’ora di punta.
Potevano asfaltarlo in pochi secondi e riprendere la corsa verso il proprio business. Invece tutto il traffico si è fermato ordinatamente senza coli di clacson e bestemmie permettendo agli operatori di mettere in salvo l’uccello che si era sbrancato.
Non so perché, ma quella pecora freddata mi dà molto, molto fastidio.
17 giugno 2011
(da Tiscali Animali)


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