SANT’ARPINO- Giuseppe Limone, filosofo,Professore Ordinario di Filosofia del Diritto e della Politica presso la Seconda Università degli Studi di Napoli e Professore di Filosofia delle Scienze Sociali presso l’Università degli Studi del Molise,ha rilasciato un’intervista sulla scuola al giornale L’Italia Oggi. Queste le tematiche più importanti:
“”Oggi la Scuola, a tutti i livelli, è diventata, anche per una paradossale congiura bipartisan tra le forze politiche, un’urgenza nazionale. Si dicano perciò alcune cose scomode e inattuali. Occorre oggi una vera epistemologia della complessità, che superi cronici vizi: il provincialismo dell’antiprovincialismo, la separazione fra i saperi e l’inconsapevolezza delle radici. Elio Vittorini sottolineava che la cultura deve superare la vecchia contrapposizione fra saperi (‘umanistici’ e ‘scientifici’) per avviarsi a una nuova articolazione e a un salto di qualità. Certamente Vittorini non intendeva dire che i saperi ‘umanistici’ dovessero essere accantonati per privilegiare i saperi ‘scientifici’. Esistono, oggi, insieme col sapere tecnoscientifico, scienze epistemologiche e scienze dei valori. Chi se ne accorge? Eppure, basterebbe guardare con intelligenza a due vicende: 1. da un lato, all’emergere incontenibile di discipline etico-valoriali e filosofico-epistemologiche dal seno stesso del sapere tecnico-scientifico (saperi bioetici, discipline epistemologiche, nuovi saperi trans-disciplinari ben più che ‘interdisciplinari’, nuovi bisogni epistemologici di reciproche contaminazioni fra scienze), e, 2. dall’altro lato, al moltiplicarsi di fatti sociali inquietanti che indicano non tanto la ‘crisi di valori’, ma la crisi nella domanda di valori. La scuola sembra oggi sottoposta a un quadruplice assedio: dal sistema massmediatico, dal sistema tecnico-economico, dal sistema burocratico (quanto tempo viene sottratto in carte al tempo della formazione e della ricerca!), dal sistema politico. Occorre reagire con intelligenza, dando spazio a un altro attore: la società civile, quel polmone pensante che deve essere il vero alimento – ma indipendente – del sistema dei partiti. Oggi assistiamo come rassegnati alla scadente condizione culturale in cui arrivano i giovani all’università. Ciò, mentre i loro docenti sembrano destinati a una strana simbiosi fra l’autodisistima e la rassegnazione, oltre che a un accelerato burn-out. Come fare? Occorre snidare alcuni pericolosi equivoci. Si dice che investire nel sapere è importante perché è un investire nella capacità d’innovazione del sistema e nella sua crescita (economica). Si gioca, in realtà, sul significato multiplo di ‘sapere’ e di ‘società civile’. Dimenticando che il ‘sapere’ è importante non solo perché, in quanto sapere tecnico-scientifico, serve a far crescere il sistema economico, ma anche, e forse soprattutto, perché, in quanto sapere valoriale ed epistemologico, dà strumenti critico-filosofici di fondo per orientare e dirigere la società degli uomini, le sue scienze e le sue scelte. Gli specialismi veramente maturi non possono non mirare oggi a una nuova frontiera, fatta di una rottura orizzontale e verticale. Rottura orizzontale, perché i saperi si aprono a nuovi nessi, che ritrasformano i saperi stessi di partenza. Rottura verticale, perché i saperi si aprono a nuove consapevolezze di orizzonte e di senso: metodologiche, epistemologiche e valoriali. Sfondamento orizzontale e sfondamento verticale che spalancano un nuovo modo di pensare – uno sguardo più profondo e più alto. Che non è più un lusso, ma una necessità. Oserò dire di più: la scuola deve essere una funzione e un ‘potere’ della Repubblica e non un ‘servizio’. Perché la scuola è un grande strumento della società civile e della sua necessità di generare uomini civili. Oggi esiste una tendenza fprte a produrre silenziosamente ‘incultura’. Chi investe nell’incultura lavora, senza lasciar tracce, per la tirannia. Si cerchino allora alcune cose, assolutamente inattuali:
1. Immettere in qualsiasi scuola, di qualsiasi tipo, discipline di carattere critico-filosofico. Le quali sono, a un certo livello di maturazione conoscitiva, invocate dalla formazione stessa, alla quale dànno ‘una marcia in più’. E non in una logica di aggiunzione, ma di nuove interazioni.
2. Dare forza di garanzia costituzionale a una riserva di fondi, nel bilancio dello Stato, per le spese in formazione e in ricerca (umanistica e tecnoscientifica).
3. Inserire nella scuola – contro l’elefantíaco processo di ‘proceduralizzazione’ in atto – elementi di forte semplificazione, per restituire ai docenti tempi di formazione e ricerca e non tempi di carta.
4. Dare spazio in ogni scuola a laboratori di saperi incrociati, di seminari permanenti fra discipline diverse, di percorsi creativi, di arti, di letture, di poesia, di sperimentazioni, di ricerche, di pubblicazioni, di confronti fra diversità. La stessa presenza di culture religiose diverse può essere occasione di riflessioni unitarie.
5. Darsi un’informatica intelligente, che non trasformi una risorsa in ostacolo. L’informatica che burocratizza, può servire a sburocratizzare. Quella che accentra, può decentrare. Quella che verticizza, può creare istanze di contro-verifica critica ‘dal basso’ e in nome di valori non considerati in sede centrale. Occorre, inoltre, guardarsi da una strisciante nuova retorica: quella dei numeri. Che stanno diventando i portatori insani di una retorica che celebra la propria giustezza a partire dalla seduzione di un grafico.
7. Dare dignità vera al docente, sottraendolo – con percorsi certi, seri e favorenti – alla sua deriva di residualità rassegnata. Ma qui non bastano parole: occorrono risorse ben spese (anche in termini di detassazione per la formazione). I docenti sono magistrati di una funzione civile, di valore pubblico: formare, educare, far pensare. Si tratta – contro tutte le mistiche mercantili delle tre ‘i’ – di istituire percorsi forti contro la frammentazione.
Elpidio Iorio [elpidioiorio@libero.it]


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