FICHI DEL CILENTO? BUONISSIMI!Ogliastro Cilento, Santomiele. L’arte del fico bianco.
Terra di miti, terra di memoria, terra persa e ritrovata.
Il Cilento per molti di noi è il luogo della memoria, dove riconosci gli odori e i colori dell’infanzia, quando tutto si fissa e nulla si dimentica.
Oggi il Cilento è un po’ come il nuovo mondo, dove si sperimenta e si riprendono in mano le vecchie tradizioni dando vita a prodotti di eccellenza.
Provate oggi a dire a un amico o a un figlio, ti premio e ti do un fico secco e sentite la risposta. Allora riprovate con un Fico Dottato del Cilento, provate con Santomiele di Ogliastro Cilento e riparliamone.
Antichissima è la tradizione di lavorazione dei fichi già documentata alla metà del quattrocento. Il fico trova in questa terra un habitat perfetto sia per la maturazione del frutto che per la sua successiva essiccazione al sole su graticci di ginestre. Ricordo i miei nonni che per una vita hanno lavorato attorno a questo prodotto. Mio nonno uno dei tanti “sportellari” di Laureana che lavorava alle ceste di castagno, mia nonna e le figlie alla lavorazione del fico e suo impacchettemento.
Mi tornano alla mente quelle ceste che riportavano sul lato del coperchio i colori rosso e verde della nostra bandiera, erano quelle destinate a portare i fichi oltreoceano.
Quanta strada, quanto tempo e oggi finalmente la Dop per questo prodotto e fortunatamente uomini capaci e intraprendenti come Antonio Longo, che riescono a riproporre e reinventare questo prodotto portandolo in giro per il mondo.
Ho conosciuto la Santomiele in una degustazione dai Viticoltori De Conciliis organizzata dall’ AIS Cilento.
Antonio ha portato i suoi prodotti che abbiamo degustatato in compagnia del Ka l’ottimo passito da Malvasia e Moscato.
Fichi in tante versioni, dal tradizionale farcito con mandorla o noce, a quelli al cioccolato e scorza d’arancio.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta e un giro nel loro sito vi stupirà per la gamma veramente ampia e invitante.
Mi piace ricordare tra tutti la Melassa di fichi che si ottiene dalla trasformazione dei fichi essiccati, in antico si usava per curare problemi respiratori, l’abbiamo provata con una ricottine frullata e nocciole in graniglia, fantastica!
Passato e presente con il Fico Dottato del Cilento, una dolcezza di cui abbiamo proprio bisogno.
Antonio Prinzo
Ogliastro Cilento, Santomiele. L’arte del fico bianco
www.santomiele.it
Santomiele s.r.l. – Produzione e lavorazione fichi bianchi del Cilento via Garibaldi 161, 84061 Ogliastro Cilento (SA) Italy
Tel. (+39) 0974/833275 – Fax. (+39) 0974/844633
email: info@santomiele.it
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Segnalazione del 27 dicembre 2007. Il fico bianco del Cilento, presidio Slow Food, è forse il simbolo gastronomico più importante del territorio di cui è parte integrante nel paesaggio.
La sua coltivazione c’era già sicuramente prima dell’arrivo dei romani, Catone e Varrone lo citano come cibo essenziale per chi lavora nei campi: di piccole dimensioni, la polpa bianca e morbida, dolcissimo, si presta per questo all’essiccamento naturale al sole o nelle
Per questo nella civiltà rurale in cui il fabbisogno calorico era molto alto per poter superare la fatica e il freddo, ha conosciuto grande fortuna: non c’era casa senza stenditoi di legno o di canna tappezzati di fichi.
Insieme ad un pezzo di pane era una colazione ricca, molto energetica, per chi sudava nei campi.
La loro predispozione al dolce li ha trasformati in dessert ideale, soprattutto se ‘mpaccati con mandorle, noci, miele: la loro lavorazione ci rivela come il Cilento sia da questo punto di vista intimamente legato alla Calabria dove questa specializzazione conosce vette altissime ed eccezionali.
Da prodotto povero e miserabile, il fico bianco sta diventando una prelibatezza grazie a tecniche di preparazione più accorte e la nascita di aziende in grado di trasformare ogni fico in un gioiello dolce con tanto di packaging di stile parigino.
Una di queste, nata ufficialmente nel 1999 ma le cui origini risalgono alla tradizione della famiglia Longo di inizio ‘900, è Santomiele la cui gamma è molto vasta: dai fichi cotti nelle foglie a quelli con il cioccolato, dai tradizionali filetti, quelli aromattizzati in canne di bambù al baule con le diverse scelte tra cui quelli aromattizzati.
Ci sono, ma queste sono più moderne, anche creme e conserve, molto buone. A noi riempe di gioia il capicollo fatto con fichi seccati e pressati, addolciti con mandorle, cannella e altre spezie. Una prelibatezza natalizia, e non solo, senza pari.
Santomiele, grazie alla capacità imprenditoriale di Antonio Longo, si è ormai affermata sul mercato romano e milanese ed esporta anche all’estero.
Di queste lavorazioni mi piace la capacità di conservare, davvero, i sapori ancestrali che ricordo sin da ragazzo, coniugandoli una presentazione moderna e autorevole, piena di gusto e senza cenni naif o folklorici.
Insomma, li potete mangiare in casa come trovarli nell’alta ristorazione.
Il simbolo del Cilento più antico, il pegno di un Cilento che cambia soprattutto, direi esclusivamente, grazie ai suoi imprenditori della filiera agro-alimentare. (l.p.)
dal sito www.lucianopignataro.it
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LA NOTA DI GIANPAOLO NECCO
I fichi del Cilento li ho mangiati a Natale, quando ben conservati, rilasciano la loro dolcezza nelle bocche fameliche delle tavolate familiari. Ne avevo comprato tre chili: mi lasciarono solo due fichi. Passate le feste le ho cercate in un negozietto di Spaccanapoli: ne ho fatto una scorpacciata. Ma dice bene Luciano e anche Antonio, i fichi sono un frutto poliedrico. Io aggiungo solo che la dolcezza di un fico non è superata da nessun altro frutto.
E qui snocciolo un ricordo anch’io.
Avevo sei anni, stavo in campagna perchè crescevo male (ma poi non è che abbia fatto progressi) e mia madre mi mandò in un paesino del Cilento presso zii che avevano casa e terreno agricolo. Ma anche un bel giardino con tanti alberi da frutta, tra essi quattro di fico.
Venuto il tempo della raccolta lo zio prese una scala, di quelle strette e lunghe, e volle che l’aiutassi a raccogliere i dolci frutti. Interpretando alla lettera la sua richiesta, appena si fu sistemato su un ramo, presi la scala dirigendomi verso un altro albero.
Lo zio, che non s’era accorto della manovra ed avendo riempito il suo cesto, cercò col piede la scala ma non la trovò e siccome era piuttosto corpulento cadde rovinosamente di sotto.
Per lui e per il suo lato B venti giorni di impacchi con pannicelli vegetali e per me una sgridata che ancora la ricordo.
I fichi? Mia zia stese delle tavole sul terrazzo per essiccarli in appena due giorni. Poi li raccolse e conservò a strati in un cassettone che chiuse con la chiave. Avevo visto il cassetto dove l’aveva riposta e ogni mattina, prima di andare a scuola,
mi rifornivo del prezioso e dolcissimo frutto e ne portavo anche ai miei compagni di classe.
A Natale il cassettone era più che dimezzato e scoperto il malandrino fui rimandato a Napoli. Ragazzi, mangiate quei fichi e poi vedrete se non farete come me un tempo!
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