Viaggiare è da sempre uno dei desideri dell’uomo, non sempre appagato, ma spesso inseguito. Mariarosaria Russo(nella foto) questo viaggio lo ha voluto, lo ha fatto e ce lo ha descritto con parole sentite e ineguagliabili, che sono quelle di una donna che s’è ammalata di “mal d’Africa”. Un sortilegio che colpisce chi si avventura nel continente nero senza vaccinarsi contro le bellezze della natura che incontrerà. Un viaggio che vale la pena far fare “virtualmente” ai lettori internet seduti comodamente in poltrona, e noi con loro. Leggere per credere e, soprattutto, sognare.
“L’isola di Zanzibar, situata a circa 30 chilometri dalle coste della Tanzania, è un vero e proprio paradiso da qualsiasi punto di vista. La classica immagine da cartolina: infinite spiagge di sabbia bianca come borotalco, confini eccellenti per acque dai colori cristallini e turchesi, abitate da pesci variopinti, stelle marine giganti, numerosi ricci, sulle quali si adagiano, come nuvole nel cielo, le caratteristiche barche locali (le dhow). Dall’alto mi appare interamente coperta di fitta vegetazione e l’aeroporto, privo di inutili lussi, mi lascia subito intuire che ciò che mi attende è un semplice lembo d’Africa ricco di colori, profumi, sapori, atmosfera tropicale e tradizioni uniche.
Alloggio nel regno del turismo organizzato, cioè in un resort italiano sulla lunghissima e bianchissima spiaggia di Kiwenga, luogo indiscutibilmente bello, ideale per chi non vuole sentire troppo il peso dell’Africa. Immediatamente mi spingo oltre, per appagare un desiderio profondo,una ricerca costante di primordialità, di radici che puntualmente abitano in me e che qui avverto più forti e dolcemente violente.
Attraverso la spiaggia di Kiwenga, giungo in una delle ultime tribù di Masai, vere e proprie sculture umane. Mi vengono incontro, sono altissimi, magri, vestiti di drappi rossi sotto ai quali intravedo enormi coltelli di legno, con larghe cavigliere e polsiere a proteggersi dai serpenti, ornati di collane ed orecchini e negli occhi una visibile voglia di vivere e sorridere: gratuitamente. Mi accolgono subito come se fossi una di loro, nessuno di noi bada al colore della pelle, non avverto assolutamente quella profonda diversità che la cultura occidentale nei secoli ha trasmesso. Da subito, per loro io sono “Capelli lunghi”, piccolo esemplare bianco, che ha bisogno di bere alla fonte della loro civiltà. Acuna Matata ,( senza alcun problema ), e’ la prima cosa che mi insegnano della incomprensibile lingua “ Swahili”.
La dolcissima Tunga, con i capelli raccolti in treccine ed un sorriso ad illuminarle il viso e gli occhi, mi presenta Bonifacio, Zanzibarino doc, di madre cattolica che lo ha battezzato così in ricordo del Papa, che mi accompagnerà nel cuore di questa magica isola.
Si comincia subito col ”perdersi” al tramonto, nelle strette viuzze della citta’ antica , Stone Town, proprio mentre giunge l’ora della preghiera musulmana e la voce del Muezzin (paragonabile ad un nostro Sacerdote ) che attraversa i vicoli, la cui disposizione architettonica favorisce e restituisce al cielo, attraverso una marea di eco, e tutto profuma di incenso e cannella: mi sembra di essere nel regno della poesia.
E’ una città che racchiude in sé tanto carisma ed esotismo, ed anche l’apparente decadenza ha un fascino sottile e travolgente allo stesso tempo. Avverti la sensazione di vivere una favola, di essere in un luogo immaginario. Mi trovo nel bel mezzo di una “macedonia etnica”, dove uomini di colore portano lunghi e candidi vesti tipici dei musulmani e le donne hanno il viso coperto da un velo di colore nero; mani e piedi sono decorati, secondo usanze arabe, con l’Hennè ( tintura estratta dalle piante ); sul capo ondeggia il “però”, ceste e brocche d’ottone, secondo un’usanza tipicamente africana.
Assaporo, lentamente e con gioia, queste contraddizioni che rendono la mia passeggiata un vero sogno, ovattato dal silenzio naturale e dai profumi; supportato dalle dettagliate spiegazioni di Bonifacio, al quale va il merito di essere autodidatta nello studio della mia lingua visto che la parla correttamente.
E un ’ ragazzo molto dolce ma deciso, con un forte credo politico e religioso, mi spiega che le numerose contraddizioni, che mi sorprendono ed affascinano allo stesso tempo, sono frutto delle numerose colonizzazioni che hanno da sempre caratterizzato l’isola. Gia’ nei secoli prima di Cristo, i commercianti dell’Arabia si spinsero fin qui per soddisfare la richiesta di avorio di Greci e Romani; ma Zanzibar fu anche primordiale meta per il commercio di schiavi nel corso dei secoli.
Da queste parti i Portoghesi introdussero il Cristianesimo. Successivamente, l’influenza Amanita (Persiani) consegnò all’isola il massimo periodo di splendore. Attualmente il 90% del popolazione è musulmana e solo il 10 % cristiana. Bonifacio mi conferma una serena e pacifica convivenza tra le due religioni .
Stone Town rimane impressa nella mia anima come nella pellicola della mia telecamera digitale, ovunque vi e’ qualcosa da fotografare: dagli splendidi balconi e portoni decorati, alla infinita ed emblematica gioia dei bambini che corrono scalzi dietro semplici ed artigianali giocattoli, creati da loro.
Lungo le strette e silenziose vie della Medina, dove anche le poche auto in circolazione non riescono ad entrare, sorgono numerosi negozietti bui e profumati che vendono pietre, deliziosi oggetti di ebano lavorati a mano, dipinti ispirati alla pittura naif, spezie e numerosi tipi di the, l’unica bevanda per i musulmani.
L’acquisto di qualche oggetto, qualsiasi esso sia, e’ un vero e proprio rito: la contrattazione è obbligatoria, altrimenti non si effettua alcuna vendita, questo rito, per noi occidentali è una vera fatica, ma personalmente entusiasmante, forse perché nelle mie vene scorre sangue napoletano…
Solitamente sono attratta dalle spezie, ritenendole il condimento essenziale dei cibi e della vita stessa, qui mi rendo conto di essere nel regno delle spezie.
Zanzibar, infatti, e’ un vero paradiso dell’olfatto, tripudio di profumi e colori; indimenticabile la suggestiva e inebriante passeggiata, attraverso le sconfinate piantagioni di cannella, cardamono, chiodi di garofano, cumino, vaniglia, zenzero, noce moscata.
Ma il vero cuore di Zanzibar è secondo me il piu’ antico mercato “Darajani Market” che pullula di vita. Infatti, a differenza dei centri commerciali freddi e scontati dei paesi ricchi, il mercato africano rappresenta un’esplosione di colori, armonia di sapori, forti odori e, soprattutto, suoni incomprensibili di venditori che quasi cantano la bontà della loro mercanzia.
E’ qui che avviene un vero risveglio dei sensi.
E’ uno spettacolo emozionante vedere al mattino gli agricoltori che raggiungono la citta’ da villaggi spesso lontani, allestire con raro amore e premurosa attenzione, pile multicolori di frutta e ortaggi esposte a terra, oppure sotto ripari improvvisati per difenderle dai raggi solari.Tutti proclamano a gran voce la qualità della loro merce, osservo le trattative in corso per l’acquisto di manghi, banane, ananas, cocchi, fino ai frutti della passione.
Le bellezze di quest’isola sono veramente tante, Bonifacio mi invita a conoscere la mascotte del suo villaggio, “Paraculo” ( nome suggeritogli da un turista italiano), una simpatica scimmietta dagli occhi assai furbi che, saltellando, afferra tutto cio’ che è commestibile. Ci accompagna in una splendida passeggiata sulla spiaggia proprio quando la natura si mostra ai nostri occhi, in tutta la sua potenza, manifestandosi attraverso la bassa marea, fenomeno molto frequente da queste parti, che lascia un tappeto di conchiglie dal colore viola chiaro, a riposare sulla spiaggia; per poi riprendersele al mattino. Tali conchiglie, racconta Bonifacio, in passato erano considerate moneta di scambio in alcune zone dell’Africa e a Zanzibar, per cui costituivano una sorta di “Zecca” del continente.
La colonna sonora di questo viaggio, ed ora dei miei ricordi, e’ stato il continuo gracchiare di corvi di cui l’isola è invasa. Essi furono importati in passato da Bombay, allo scopo di far pulire le spiagge dai resti degli schiavi morti che durante le traversate dal continente africano, venivano gettati a mare dalle navi.
Questa storia improvvisamente mi rattrista molto, seguo Bonifacio senza quasi rendermene conto, nella intrigante foresta di “Mangrovie”, un sofisticato spettacolo della natura, un meraviglioso ecosistema, ma il culmine dell’emozione lo raggiungo di fronte alla pianta icona e simbolo della flora africana, il cosiddetto gigante buono, un baobab di appena 800 anni. Tutto inizia per poi finire, ma di fronte a questa leggendaria pianta, ho percepito un gran senso di eternità, protezione, generosità e, di contro, il grande limite dell’uomo. Il suo aspetto avvizzito, la sua capacità di sopravvivere a lunghi periodi di siccità e la sua longevità hanno indotto molti popoli africani a venerare il baobab e a ritenere che possieda addirittura poteri magici. Dicono che il suo spirito protegge i villaggi ed è talmente rispettato che solo gli anziani hanno il privilegio di arrampicarsi sui suoi rami; si dice anche che solo il toccarlo allontana la cattiva sorte. Bonifacio per me fa di più: stacca un ramoscello e augurandomi migliori fortune, spontaneamente me lo dona .Sono lusingata e felice, non ho mai ricevuto un tale regalo, per me dal profondo valore.
Zanzibar è per me .il luogo in cui regna una umanità vera e sincera, e temo che il turismo da queste parti non porterà alcun beneficio concreto, perché è reale il timore della perdita di una cultura antichissima. Credo, infatti, che bisogna avere rispetto nei confronti di una terra così ricca di bellezze naturali, ma anche tanto misteriosa, piena di tradizioni qual’è Zanzibar. Ritengo doveroso che i “ colonizzatori turistici” non offendano queste popolazioni. Rispettare chi e’ legato alle proprie radici e chi vive con fatalismo la realtà africana, meravigliosa e terribile come tutte le cose pure. E più che un auspicio, il mio. E la mia riflessione non è solo idealistica: questa parte di mondo pura ed incontaminata, mi appare a tratti violentata, i miei occhi si posano su di un ragazzo a piedi nudi, ma con in mano il cellulare. Limitarsi a visitare questa magica isola, in punta di piedi senza ostentare la falsa ricchezza “made in occidente”; senza intraprendere azioni che appagano solo momentaneamente la nostra coscienza, quali posso essere quelle di donare oggetti, dolciumi, vestiti o altro. Per ogni gesto di carità cristiana o di umanità, definiamolo così, ci saranno molte mani tese in più e gente che conoscerà l’umiliazione dell’elemosina.
Perdiamoci pure nel fascino e nel mistero di questa terra africana, e allo stesso tempo difendiamo la dignità del loro essere. Mi piace concludere proprio con proverbio che gli africani stessi mi hanno insegnato:”Povero non e’ chi non ha nulla, lo e’ chi non si accontenta”.
Mariarosaria Russo
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