I VINI BUONI D’ITALIA 2009
La finale per il centro Sud si tiene a Caserta il 29 e il 30 luglio con la partecipazione dei coordinatori regionali e dei curatori Mario Busso e Luigi Cremona alla presenza del direttore editoriale del Touring Michele D’Innella.
E’ possibile essere presenti ed assistere ai lavori per l’assegnazione delle corone.
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I PRELIMINARI
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I VINI BUONI D’ITALIA 2009
LUCIANO PIGNATARO A PAESTUM PER I VINI BUONI D’ITALIA.
Si sono svolte da martedì 10 a giovedì 12 giugno 2008 le selezioni di Vini Buoni d’Italia coordinate da Luciano Pignataro a Paestum presso il Savoy Beach Hotel: oltre 900 vini provati e a volte riprovati alla ricerca del meglio di Campania, Basilicata e Calabria.
da: Comunica – La Fabbrica dei Sapori [comunica@lafabbricadeisapori.it]
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LE IMPRESSIONI DI PIGNATARO
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Vini Buoni d’Italia 2009, Prime indicazioni dalla selezione di Paestum
Vola l’Irpinia, stabile la Basilicata, spunta la Calabria.
Con la partecipazione finale di Luigi Cremona si è chiusa la due giorni di selezioni dei Vini Buoni d’Italia del Touring Club a Paestum di Campania, Basilicata e Calabria: oltre 900 vini esaminati da ben sette commissioni formate da degustatori professionali e giornalisti che hanno provato i vini in completo anonimato.
Presto per fare un bilancio ufficiale perché i dati non sono ancora disponibili, ma alcune indicazioni di fondo si posso già estrapolare e ve le offro come impressioni.
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CAMPANIA
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Irpinia: in primo luogo il 2007 è l’anno della grande rivincita del Fiano di Avellino dopo le mazzate prese con la 2006. Numerosi, è il caso di dire, i bianchi che hanno superato la soglia minima per andare in finale e dunque per l’inizio di luglio sarà organizzata una ulteriore selezione per raggiunge il numero chiuso previsto. Sono etichette di grande complessità olfattiva, a volte di stili diversi, ma sempre di spessore grazie alla qualità del frutto. Un po’ più in basso il Greco anche se non sono mancate le sorprese. L’Irpinia si conferma provincia di eccellenza anche con i Taurasi, molto ampio il numero selezionato da 85 punti a salire. Un caleidoscopio di sensazioni nel quale possiamo dire che i nomi famosi in tutto il mondo hanno solo confermato la loro capacità di esprimersi con questa uva difficile eppure generosa di sensazioni magnifiche.
In Campania Avellino è insidiata dal Sannio, quest’anno però un po’ più in affanno rispetto alle precedenti edizioni.
Il clima e le condizioni generali della viticoltura sannita hanno reso più difficile
l’interpretazione dell’annata 2007, ma anche in questo caso non sono mancate indicazioni. In generale la zona di Torrecuso emerge con prepotenza sui rossi mentre ripiega un po’ sulla Falanghina, forse troppo banalizzata nella sua correttezza di fondo.
La provincia di Napoli si conferma terra di grande tipicità, ma purtroppo qui manca il vino capace di stupire e conquistare tutti i palati. L’Isola d’Ischia è il terroir maggiormente in crescita con ottime perfomance dei suoi protagonisti storici mentre un po’ deludente la zona dei Campi Flegrei. E se da Gragnano e Lettere oltre la piacevolezza di beva immediata c’è ben poco da aspettarsi, delude fortemente il trattamento riservato al Lacryma Christi.
Per una sorta di paradosso, i produttori vesuviani sembrano più concentrati sull’Irpinia che sul loro terroir di riferimento ed è davvero un peccato. Non crediamo che da blend di coda e falanghina possano nascere solo vini capaci di raggiungere la sufficienza. Così nel rosso con piedirosso e aglianico. Il lacryma si trova un po’ come la Fiat di qualche anno fa, non ha appeal e le stesse cantine appaiono poco convinte.
La provincia di Salerno fa decisi passi indietro: dipende sicuramente dal clima meno favorevole in un’annata così calda quale la 2007 è stata. Solo la Costiera Amalfitana esprime vette di eccellenza da finale con rossi complessi e molto interessanti per la loro tipicità.
Soffro per il mio Cilento ma la realtà ci parla di vini molto corretti, sicuramente piacevoli, a volte ricchi di spunti per i degustatori, ma quasi sempre senza il necessario appeal per convolare in finale.
Discorso uguale per Caserta, la provincia che maggiormente ha avuto il coraggio di mettersi in discussione e rifarsi il look negli ultimi anni è apparsa un po’ svogliata, quasi in ripiegamento. Come vedrete, in finale sono arrivati un paio di vini assolutamente fuori gioco in partenza.
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BASILICATA
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Veniamo adesso alla Basilicata
Un bell’articolo di Luciano Di Lello, grande esperto del Vulture e amante dell’Aglianico, aveva lanciato un anno fa l’allarme sul Gambero Rosso: c’è rischio di stallo, molti produttori rischiano di trovarsi fuori mercato mentre la qualità della proposta semba un po’ stantia. Dopo la rivelazione del primo anno, con una percentuale di finalisti pari al 16 per cento rispetto ai partecipanti, stavolta si arriva contati e non ci sarà bisogno di ulteriori selezioni. A parte la cronica debolezza sui bianchi, l’Aglianico del Vulture sembra accontentarsi di una qualità leggermente superiore allo standard senza però avere più la capacità di stupire. Vero che la 2004 e la 2005 sono state annate davvero difficili, ma anche le grandi individualità degli anni scorsi sono in affanno, un po’ tutti appasiono quasi ripiegati su se stessi e sembra tornare ad incidere nelle scelte produttive quella mancanza di confronto con il mondo esterno che ha caratterizzato i terroir per tutti gli anni ’90. Spero proprio che sia una pausa per riprendere fiato dopo i colossali balzi in avanti fatti negli ultimi sette, otto anni. Per capirci: se dal 1999 al 2002 l’Aglianico del Vulture è stato un tembile competitor con il Taurasi, a partire dal 2003 il recupero è stato interrotto. E’ come se gli irpini siano stati capaci di fare quel balzo in più, pur nella assoluta diversità di stile, rimarcando le distanze e restando oltretutto più competitivi sui costi. Credo dipenda molto dalla maggiore attenzione al vino di ricaduta, il Campi Taurasini che consente maggiore serenità.
Assente nonostante la doc la provincia di Matera, troppo incerta sui vitigni da usare e marchiata dal vizio del blend con vitigni nazionali e internazionali in puro stile anni ’90 destinato a non far mai apprezzare le bottiglie oltre una ceta soglia di costo.
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CALABRIA
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Viva la Calabria. Una regione in grande fermento, quasi uno spaccato della Campania di quindici anni fa. Da un lato zone di tradizione come il Cirò capaci di rinnovarsi e presentarsi in veste nuova, dall’altro territori come la provincia di Cosenza paragonabili alla zona di Roccamonfina per il clima e l’entusiasmo delle nuove aziende. Rossi anzitutto, bianchi un po’ deboli, e, tanto per gradire, rosati complessi e interessati capaci addirittura di arrivare in finale. Anche qui, come in provincia di Matera, c’è un uso un po’ ingenuo e disinvolto di certi blend, fatto a prescindere da quello che chiede il mercato in questo momento, però sulla soglia di tante cantine c’è un campione come il Magliocco capace di appassionare ed esaltare i degustatori.
Si tratta naturalmente di prime impressioni, non di anticipazioni, perché non ho in questo momento il conforto dei dati. Domani saremo in grado di dare in un comunicato ufficiale e il lancio Ansa con dati e numeri precisi. Devo anche dire che con un po’ di esperienza la degustazione coperta cessa di essere un indovinello per diventare solo un modo più sereno nel valutare: ciascuno di noi accumula nel corso degli anni simpatie e antipatie che non possono però incidere nel giudizio finale. I grandi vini e i grandi produttori alla fine escono, ma per merito del loro vino e non del loro nome. I giudizi sono molto equilibrati: in riassaggi fatti sul Vulture e sul Volturno, i primi risultati ci avevano un po’ sorpresi, il voto finale non è cambiato nella sostanza a parte qualche sbucciatura di punto.
Le degustazioni si sono svolte in un ambiente ottimale: il vino è rimasto stoccato nei locali del Savoy Beach di Paestum, la sala era dotata di aria condizionata e tutti i degustatori sono stati assistiti dal personale di servizio molto entusiasta e coinvolto nella esperienza, sapientemente guidato dall’Amira Paestum presieduta da Diodato Buonora. Una condizione indispensabile per lavorare bene.
Luciano Pignataro – 12/06/2008
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LE NOTE SPARSE
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Vini Buoni d’Italia 2009, un po’ di note sparse.
Di Gaspare Pellecchia*.
Un po’ di note sparse trascritte direttamente dal mio taccuino (e perciò personalissime), su alcuni vini provati in questi giorni di intense degustazioni.
Dalle verticali di Coda di Volpe tenutesi alla Fabbrica dei Sapori a Battipaglia ecco Vadiaperti, la sua 2002 inizia a dare i primi segni di cedimento, la 2004 è invece una bevuta tipica e criptica del territorio di appartenenza, la 2006 è bella e floreale; Tenuta del Cavalier Pepe, la sua Coda di volpe è meno territoriale e più usuale di quella precedente: tra la floreale 2005, la bella 2006 e la fresca 2007 ho preferito quest’ultima (devo dire che, più che per questo vitigno, l’azienda mi ha profondamente convinto per il suo eccellente lavoro sul Fiano di Avellino).
Passiamo alle degustazioni dell’Explanade (qui un ringraziamento a Diodato Buonora). La Pietra di Tommasone, che bella gamma di bianchi! Mazzella, ottimo il suo lavoro sul Biancolella; il Facetus 2001 viaggia a 1000, ve l’assicuro, ma a me, personalmente, non mi esalta; buona invece la Falanghina di Cantina del Taburno, ma splendida resta, diciamocela tutta, come sempre, la Falanghina di Nifo. Passiamo ai Fiano di Avellino: Colli di San Domenico: è magnifico e tipico il loro prodotto; il Ripa Alta è un altro piccolo grande capolavoro di eleganza di Villa Raiano. Mi ha convinto anche il Pendino, dei Colli di Castelfranci. La Molara, altro bel Fiano; Urciuolo, mamma mia che Fiano: tipico, noccioloso e perciò da manuale; buona anche la versione passata a legno di Terredora; ho trovato invece un po’ chiuso il More Maiorum ’99 di Mastroberardino. Ora due parole sul Cirò, un sorso potente da riscoprire, un vino la cui evoluzione in affinamento ci regala, già dopo soli quattro anni, emozioni inaspettate, una doc vigorosa e di grande spessore: su tutti il Liber Pater magnifico calice firmato da Ippolito.
Adesso parliamo un po’ del Re, l’Aglianico… Miervini mi ha convinto per il suo ottimo lavoro, un Irpinia doc pulito, coerente: tipica frustata acida in ingresso al palato, bocca pulita, ritorni di prugna fresca, esemplare! Cinque Querce, parliamo del base, è un po’ deludente. Eccellente il base di Di Meo, un Aglianico in purezza, 2005. Strabiliante l’Aglianico 2006 base di Grotta del Sole (azienda che ha, invece, deluso le mie aspettative sugli altri suoi, più logici, vini…). Su tutti due eccellenze: il 2005 base di Contrade di Taurasi (impeccabile, puntuale e tipica interpretazione di questo difficile vitigno) e quello di Ciro Picariello (lavora sempre meglio).
Per finire, una bella batteria di Taurasi. Vesevo, brilla il calice, è potenza pura al naso che vibra sulle note più autentiche del vitigno, interpretate secondo un’elegante partitura boisé; in bocca questo docg 2003 mi ha convinto per la sua ricchezza espressiva: una bomba di Taurasi, insomma! Il Cinque Querce 2003, anche nel suo naso piuttosto banale, convince molto. Mi è piaciuto, e mi ha anche un po’ confuso, invece, il 2004: i Molettieri da un anno all’altro hanno nuovamente mutato registro sui protocolli del loro gioiello aziendale; ne esce questo loro Taurasi 2004, dotato di una nuova, grandissima, eleganza; tipico eppure particolare, da provare. Perillo, dal canto suo, si difende ma non svetta. Pasqualino Di Prisco: come fa non si sa, ma il suo è un Taurasi antico, splendido, che grida: “uva-uva-uva”, un frutto di grande qualità sorregge la beva fresca, intrigante, memorabile e poco legnosa. Una chicca conclusiva, Anna Bosco fa una Barbera che sa appena di Moscato (ma di Moscato dentro non c’è una goccia: ho sbagliato allora, non è una chicca, è un sannitico sorso, tipico e incantevole).
A presto!
*Presidente dell’Associazione Terra di Vino
(dal sito www.lucianopignataro.it )
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