Il vino capovolto: un libro da leggere per dritto e per rovescio3 min read

La recensione potrebbe essere terminata prima di incominciare, perché questo è un libro che va assolutamente letto, punto e basta.
Adesso cercherò di spiegarvi il perché.
Per  me e forse per molti di voi alla base della lettura di questo libro,  scritto da due autori e quindi diviso in due parti c’è un  problema, quello di schierarsi o non schierarsi o di essere già schierato: pro o contro quello, pro o contro quell’altro.
Un critico, un giornalista probabilmente deve schierarsi, ma questo non credo sia richiesto a chi vuole bere un buon bicchiere di vino, oppure  inizia una strada di conoscenza. Ma… uno che il vino lo vive come passione e come lavoro?  mi rifaccio allora alla strausata frase attribuita a Socrate “So di non sapere”, per far capire come solo una conoscenza notevole del mondo  del vino, come quella di Sandro Sangiorgi,nella foto, ti permetta di schierarti senza fare danno, senza che le truppe di assaggiatori/appassionati si scannino su “naturale” si o no, su “industriale” si o no.
Quindi non vi parlerò di questo libro dall’alto di una barricata ma cercherò di prendere esempio da Sandro (a proposito, vi consiglio di leggere prima la sua parte, anche se viene come seconda ) per come le sue pagine si dipanano con una  tranquillità quasi super partes , pur iniziando  con una frase,  un affermazione categorica addirittura dirompente.  “Un vino buono può essere solo un vino naturale”.  Ma non fatevi influenzare, Sandro ha scritto la sua parte  con scopi esclusivamente educativi e quindi con la stuzzicante e malcelata voglia di stupire, di incuriosire, di avvicinare.
La parte scritta da Sandro è molto di più che una presentazione del vino naturale: è un sunto di vita, una elegante confessione laica, un insieme di frammenti  che compongono un puzzle dove la tensione di una vita con tanti cambiamenti porta ad una  tranquilla soddisfazione. E’ bello leggere le sue righe  perché trovi concetti che difficilmente non puoi condividere, proprio perché  lui non ti chiede di farlo: è un maestro che presenta varie lezioni e non pensa minimamente di interrogare nessuno,  perché ha già interrogato se stesso ed è bastante.
La parte invece di Jacky Rigaux (che ho avuto la fortuna di conoscere e con cui ho degustato due volte) è, diciamo,  più militante : mette subito chiari paletti  anche parlando della storia del vino degli ultimi 50 anni e presentando cose abbastanza conosciute, ma viste dal punto di vista di quella che potrei definire  “barricata naturale” (qui si che le barricate ci sono!).
Alcune cose sono condivisibili, altre meno, specie il disprezzo un po’ snobbistico  per il “vino seriale” e il suo dividere il mondo tra vini di vitigno e vini di terroir, considerando che è molto facile fare e parlare di vini di terroir quando vivi in Borgogna . Lo stesso concetto di degustatore illuminato non rende certo merito al mondo del vino, perché l’illuminato è solo quello che la pensa come lui.
Non sono d’accordo anche sulla “guerra del vino” che lui lancia, perché nel grande piacevole mondo del vino un degustatore non può usare termini contrari allo scopo primario del vino, che è il dare piacere.
E’ comunque piacevole leggere la sua presentazione della degustazione geosensoriale e spaziare tra i vari termini che un degustatore “non illuminato” troverà sicuramente particolari. Come quello di privilegiare bicchieri che non privilegino (gioco di parole voluto) la parte visiva e olfattiva, considerate molto meno importanti e quasi fuorvianti rispetto a quella gustativa.
Uno può essere d’accordo o meno ma non può assolutamente non fare sua la paura che un mondo del vino ancor più massificato porti a considerare sempre meno il valore del terreno e del suo mantenimento a vantaggio di politiche esclusivamente commerciali.
Insomma, citando una delle molte affermazioni di Sandro Sangiorgi , bisognerebbe tornare a vedere la vite dalla parte della radice, cercando di tessere tra uomo e vigneto un equilibrio stabile.
Si può anche non amare tanti vini cosiddetti naturali (come è il mio caso) ma non si può non ascoltare con attenzione la voce di un maestro come Sandro e di un pacato rivoluzionario come Jacky.

Carlo Macchi
Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.
di Carlo Macchi, 17 settembre 2017 da Wine surf web

Categorie: Libri

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