Il pelatello casertano, dal rischio della scomparsa al recupero e alla valorizzazione.

Il pelatello casertano è una specie autoctona dalle caratteristiche uniche:
– la cute di colore variabile dal grigio ardesia al nero violaceo, quasi del tutto priva di setole;
– la presenza ai lati del collo di due protuberanze denominate bargigli, tettole o, in vernacolo, sciucquaglie, dallo spagnolo chocallos, ossia pendenti, orecchini;
– la vigoria sessuale del verro e l’elevata attitudine materna della scrofa;
– il tronco schiacciato nella regione toracica e leggermente convesso lungo la linea dorsolombare con groppa inclinata;
– gli arti brevi e sottili;
– l’abbondante tessuto adiposo;
– la rusticità, la frugalità, l’adattabilità al pascolamento.
Il tipo genetico autoctono Maiale Casertano, nel 1995, con soli 25 capi, era incluso nel World Watch List for domestic animal diversity, tra le cinque razze italiane dichiarate in pericolo di estinzione dalla FAO.
Il primo censimento del pelatello, attuato nel periodo maggio/dicembre 2005 dall’Ufficio di Statistica dello Stapa e Cepica di Caserta, ha definito l’ammontare della popolazione in 1000 capi, concentrati per il 90% nell’area dell’alto casertano e presenti, per il restante 10%, nelle province limitrofe di Benevento, Isernia e Frosinone.
La lungimiranza di appassionati allevatori locali e il riconoscimento da parte del Ministero delle Politiche Agricole, nel 2001, di un programma di selezione e recupero della razza hanno reso possibile la salvaguardia di un patrimonio di biodiversità di inestimabile valore.
Notizie circa o’ puorco cu’ è sciucquaglie risalgono all’inizio del I secolo d.C. sia per quanto scrive Columella nel De re rustica, “a temperata aprica si possono pascere animali senza peli (glabrum pecus)”, sia per i risultati dell’esame di reperti archeologici degli scavi di Capua, Pompei ed Ercolano, come riferito dal prof. Baldassarre nel 1899.
Stanislao Pitaro lo definisce il maiale del povero, autentica risorsa per i contadini, dai quali è chiamato anche tianello, da Teano, o napoletano, per comodità di identificazione geografica.
Ezio Marchi nel 1897 afferma che “la napoletana con manto bruno-rame, senza pelo, di piccola e mezzana statura, ossatura fine, gambe robuste, discreta precocità, attitudine all’ingrassamento” è la migliore razza suina italiana.
La Fiera di Santo Stefano di Capua, fino agli anni ’80, è stata la più importante occasione di scambio commerciale dedicata al pelatello, incrociato all’inizio dell’Ottocento con le razze inglesi Berks e Yorkshire.
Allevato allo stato brado e semibrado nelle quercete, il maialino casertano offre lardo e carni marezzate tenere, compatte e saporite, trasformati in delizie prelibate: salsicce, soppressate, ciccioli, capicolli, coppe, lonze, salami e prosciutti sapientemente valorizzati da tradizionali ricette contadine.
Il pregiato porco del Sud, esaltato egregiamente in tavola da un calice di Casavecchia o Aglianico, sa regalarci ancora oggi le inebrianti sensazioni di sapori antichi ineguagliabili.
Anna Russo


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