La “Storia del Paesaggio Agrario Italiano”

L’Opinione di Giovanni Aliotta,(nella foto), Professore Emerito di Botanica
Seconda Università degli Studi di Napoli
ripresa dal sito:
www.ambientemediterraneo.it

Storia del Paesaggio Agrario Italiano.
La tipica definizione di paesaggio fornita dai dizionari è: l’insieme dei caratteri fisici e antropici di un territorio. Invero, il paesaggio è una realtà più complessa definita da aspetti specifici: economici, sociali, produttivi, estetici ed ecologici.
In particolare, il paesaggio agrario è strettamente legato alle attività umane; in esso, infatti sono forti i legami con il mondo del lavoro e con le dinamiche socio-economiche.
Negli ultimi decenni il nostro Paese ha cambiato volto: il consumo di 100.000 ettari di suolo all’anno ha travolto secoli di cultura e intaccato il valore economico riconducibile agli usi agricoli e naturali del territorio.
Nel 2005, Italia Nostra per festeggiare i suoi cinquanta anni, lanciò la campagna per la protezione del paesaggio
agrario, che fu descritto magistralmente in Francia da Marc Bloch, agli inizi del secolo scorso nei suoi Caractères originaux de l’histoire rural français e da Emilio Sereni in Italia, nel testo del 1961, ma ancora attuale: Storia del paesaggio agrario italiano, edito da Laterza .
Con il Progetto Paesaggio Agrario, Italia Nostra propone di rinforzarne la tutela, sia recuperando le opportunità economiche rappresentate dalle produzioni agricole tradizionali e dalla salvaguardia della biodiversità , sia valorizzando gli effetti benefici del paesaggio sulla salute psico-fisica dell’uomo.
Sono chiamati a confrontarsi le istituzioni, le associazioni e gli studiosi per individuare una definizione più ampia di paesaggio, a partire dalla convenzione europea del 2000, e dalle modalità di intervento sul territorio nel rispetto della storia, della natura e delle attività umane compatibili.

Per avvicinare il lettore al dibattito apertosi, cercheremo di analizzare in breve alcuni aspetti della storia del paesaggio agrario italiano, secondo l’approccio proposto da Bloch:
“Miei cari amici, come sapete, sono professore di storia. Il passato costituisce la materia del mio insegnamento. Io vi narro battaglie cui non ho assistito, vi descrivo paesaggi scomparsi ben prima della mia nascita, vi parlo di uomini che non ho mai visto. La situazione in cui mi trovo è quella di tutti gli storici. Noi non abbiamo una conoscenza immediata e personale degli avvenimenti di un tempo, paragonabile a quella che il vostro professore di fisica ha, per esempio; dell’elettricità. Non sappiamo nulla, su di essi, se non per i racconti degli uomini che li videro compiersi. Quando questi racconti ci mancano, la nostra ignoranza è totale e senza rimedio. Tutti noi storici, i più grandi come i più piccoli, rassomigliamo a un povero fisico cieco e impotente che non fosse informato sui suoi esperimenti altro che dai resoconti dai suoi assistenti. Noi siamo dei giudici istruttori incaricati d’una vasta inchiesta sul passato. Come i nostri confratelli del Palazzo di Giustizia, raccogliamo testimonianze con l’aiuto delle quali cerchiamo di ricostruire la realtà”.

Fortunatamente, per ciò che concerne il paesaggio agrario, abbiamo una famosa ed accurata analisi da parte di Emilio Sereni, storico e politico, autore di una opera capace di dare il senso storico dei mutamenti del paesaggio e di sottolinearne il contesto agronomico, economico e culturale in rapporto all’evoluzione delle vicende delle popolazioni, che nel corso dei secoli hanno abitato la nostra Penisola.
Dal debbio (bruciatura delle stoppie dopo la mietitura per migliorare un terreno) al maggese (campo lasciato a riposo per recuperare la ‘stanchezza’ del suolo), alla centuriazione romana, alle piantate vitate, alle sistemazioni collinari fino alle opere irrigue.
In particolare, Sereni evidenzia come la impostazione e la sistemazione delle colline e dei pendii emerge dalla
considerazione elementare che la superficie agraria e forestale italiana si estende per il 41% in collina e per il 37% in montagna.
Pertanto, è importante sottolineare i pericoli dei dissodamenti inconsulti e delle sistemazioni inadeguate che fanno violenza alla natura in modo irreparabile, portando a gravi degradazioni del paesaggio e a gravissimi danni economici e sociali.

Sereni descrive in modo efficace lo sviluppo del giardino mediterraneo
nel Seicento:
“Certo è che tra il XVII e XVIII secolo il paesaggio del giardino mediterraneo
continua ad allargarsi ed assume già (specie in vicinanza dei centri urbani) forme non molto diverse da quelle odierne: con i suoi piccoli appezzamenti, con i suoi muretti, tra i
quali corre l’intrico delle viuzze incassate tra il biancheggiare dei muri di cinta sormontati dal lucido verde della fronda d’arancio. E dalle falde del Vesuvio alla Penisola Sorrentina,
dalle falde dell’ Etna alla Conca d’ Oro, un giro per queste viuzze ed uno sguardo alle date scritte sui cancelli basterà a convincere il lettore della parte che le piantagioni del XVI e
XVII secolo hanno avuto nell’elaborazione delle forme di questo paesaggio”.
Sereni riporta le testimonianze più varie, dai pittori ai poeti, dagli agronomi agli storici e ottiene risultati efficaci.

Un’altra testimonianza letteraria è fornita dalla lettura dei Promessi Sposi, quando Renzo dopo aver a lungo peregrinato, torna alla sua vigna.
“Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene salvatiche,d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo,denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a
soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi
in somma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti, di cento colori,di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate
e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse e come stellate di vivi fiori gialli:cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi o
porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan
tutti ricoperti delle lor foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli: là una zucca salvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avviticchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno,
aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo anche al padrone”
(XXXIII Capitolo).
E’ molto improbabile che il cittadino moderno abbia familiarità con tutte le piante citate da Manzoni.

Infatti, nelle epoche successive e soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, lo spazio urbanizzato è cresciuto vertiginosamente, divorando il territorio libero intorno, agricolo e
non. Una conseguenza è che le città italiane mancano di strutture che consentano una facile lettura del paesaggio. È stato calcolato che, dopo la seconda guerra mondiale, mentre la popolazione italiana è cresciuta meno del 20 per cento, la superficie urbanizzata è decuplicata, è aumentata cioè quasi del 1.000 per cento.
Molti sostengono che l’espansione urbana sarebbe ormai finita. Non è vero.
Nel decennio 1990/2000 la superficie agricola totale dell’Italia si è ridotta di oltre 3 milioni di ha, quanto Liguria e Piemonte messi insieme.
In provincia di Napoli, 50 anni fa, la città occupava il 20 per cento dello spazio complessivo, oggi occupa quasi il 60%. Con questi ritmi di cambiamento fra 50 anni il paesaggio agrario italiano sarà ridotto all 50%. Importanti ambiti economici in crescita come quelli delle produzioni agricole di qualità o del turismo non avranno un territorio su cui svilupparsi, mentre i problemi legati alla salubrità, all’ecologia e alla difesa del suolo si acuiranno.
Il paesaggio rurale è, dunque, al tempo stesso un bene economico, ambientale ed estetico per la sua multifunzionalità (agricoltura, alimenti di qualità, paesaggio, economia, ecologia, difesa del suolo, salute e cultura), ma è anche la forma visibile del territorio, il luogo dove la collettività vive. Quindi è oggetto di diritti individuali ma soprattutto di un diritto collettivo: non è un caso che la tutela del paesaggio sia garantita dall’art. 9 della Costituzione. I piani paesistici, salvo pochissime eccezioni, non hanno svolto a sufficienza il loro compito di salvaguardia del paesaggio.
Tutto ciò impone di correre ai rimedi con un provvedimento severo, come quello proposto da Italia Nostra. Si tratta di una proposta di legge ad hoc per la tutela del paesaggio agrario e di tutto il territorio non urbanizzato (anche i boschi e le foreste, le praterie, i pascoli, le spiagge, le rocce nude, e così di seguito).
In buona sostanza, obiettivo della legge è il contenimento del territorio urbanizzato.

La proposta di legge è formata da due soli articoli. Il primo prevede l’inserimento del territorio non urbanizzato nella lista dei beni tutelati dalla Legge Galasso del 1985, oggi inclusi nel Codice del paesaggio. Il secondo articolo riguarda invece il divieto di modificare il paesaggio dei territori agrari o in prevalenti condizioni di natura.
La proposta è che nelle zone di campagna si possa intervenire solo per la costruzione di impianti agricoli, vietando ogni altro tipo di edificazione, ricostruzione e ampliamento di edifici che non siano direttamente connessi all’attività agricola, nel rispetto di precisi parametri in rapporto alla qualità e all’estensione delle colture presenti sul territorio.
Giovanni Aliotta

Marzo 2013, Ambiente Mediterraneo-Cultura e Territorio
Un antico paesaggio agrario ( da Sereni, 2006)

COS’E’ AMBIENTE MEDITERRANEO
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Ambiente mediterraneo è una associazione ambientale ecologica, scientifica, culturale che opera per la tutela e la valorizzazione della natura e dell’ambiente mediterraneo, delle risorse naturali, della salute collettiva, delle specie animali e vegetali, del patrimonio storico, artistico, culturale, del territorio e del paesaggio e si prefigge i seguenti scopi di utilità sociale:
1. Assumere iniziative di tutela ambientale, monitoraggio, promozione, formazione e diffusione culturale promuovendo la partecipazione di ognuno sia per salvaguardare e recuperare l’ambiente mediterraneo , sia per favorire un migliore stile di vita stimolando comportamenti individuali e collettivi a tutela della natura, attivando inoltre iniziative di ricerca scientifica nel campo della tutela dell’ambiente mediterraneo.
2. Sollecitare i giovani delle aree mediterranee ad un’educazione ambientale ed ecologica e la loro partecipazione alla difesa della natura.
3. Svolgere attività di ricerca e di analisi relativi a problemi di carattere ecologico, ambientale, territoriale, socio economico e sui più generali temi della conoscenza e del rapporto tra scienza, cultura e lavoro per promuovere la diffusione della cultura e formare una coscienza scientifica diffusa.
4. Identificare modelli di analisi e divulgazione dei problemi degli ambienti marini, costieri, montani e del territorio delle aree mediterranee al fine di fornire una soluzione agli stessi e provvedere alla tutela e al recupero dei beni e delle aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
5. Porre in atto attività formative volte ad educare allo sviluppo sostenibile.
6. Identificare azioni di prevenzione in caso di alluvioni, erosioni ed inquinamento in ambito di protezione civile.
7. Sostenere scientificamente lo sviluppo di tecniche delle colture agricole a minor impatto o danno ambientale.
8. Realizzare, elaborare e promuovere progetti ed iniziative nel campo della formazione e dell’aggiornamento professionale e culturale organizzando e gestendo in proprio (o con la collaborazione di altri organismi) corsi di formazione, di specializzazione, seminari, assemblee, incontri, borse di studio, dibattiti, conferenze, convegni, escursioni, fiere, mostre, manifestazioni, attinenti lo scopo sociale.
9. Promuovere, realizzare e gestire un interscambio culturale regionale e nazionale, anche per la promozione di prodotti tipici locali partecipando a fiere e manifestazioni in genere, al fine di diffondere la conoscenza, l’apprezzamento e la diffusione delle singole eccellenze territoriali delle aree del mediterraneo.
10. Proporre l’adozione di normative e regole amministrative sulle tematiche di tutela ambientale ed attività volte a coinvolgere e orientare le istituzioni, le forze sociali ed economiche verso legislazioni, programmi, accordi, progetti coerenti con lo scopo sociale dell’Associazione al fine di farle assumere la tutela giuridica dell’ambiente, con la facoltà di agire giudizialmente a difesa dell’ambiente.

lA NOTA
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Carissimi,
Saluto le SS.LL. con viva cordialità, e, nel frattempo, comunico,che sul nostro sito www.ambientemediterraneo.it è stato pubblicato,nella pagina
“L’Opinione di…”, l’editoriale di marzo che riporta l’articolo di
Giovanni Aliotta, Docente Emerito di Botanica della Seconda Università di Napoli,
“Storia del paesaggio agrario italiano”
Ringraziandola per l’attenzione, La invito a leggere l’editoriale ed a visitare il sito.
Buona lettura!
Cordialmente, Italo Abate
INFO e contatti:
Italo Abate
www.ambientemediterraneo.it
@: abateitalo@alice.it
@: ambiente.mediterraneo@gmail.com
Tel. 0824 84 13 67 studio
Cell. 338 422 17 14


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