Edinburgh food report: Appunti sparsi e piccola guida golosa sulla capitale scozzese
Ho sempre avuto molta simpatia per gli scozzesi perchè hanno regalato la civiltà del whisky all’umanità e perchè sopportano stoicamente i Windsor. Dal salmone affumicato all’Angus di Aberdeen, dall’haddock (anche in versione fish and chips) ai formaggi, fare un giro da queste parti è davvero una bella scoperta di sapori autentici come del resto mi aveva anticipato già qualche anno fa l’ex fiduciario di Slow Food Napoli Francesco Colonnesi che organizzò un tour gemellandosi con la condotta di Edimburgo.
Ed ecco allora a voi alcune sensazioni, qualche indirizzo giusto. Vi fidate, no?
Mangio italiano ma bevo australiano
Anzitutto, giusto per aprire e chiudere subito il capitolo, la capitale scozzese è la fotografia quasi fedele del panorama gastronomico mondiale, o almeno occidentale. Dalle pizzette trash ai raffinati bistrot il cibo parla davvero italiano quanto la moda con una varietà impressionante di offerta per tutti i gusti e le tasche. Anche se scopriamo esserci qui sia il pollo cacciatore che lo spaghetti carbonaro, come pure lo stile italo-americano con meatballs, e poi naturalmente la mozzarella e il limoncello (di Villa Massa of course). Soprattutto tanta Napoli e tanta Roma nei menu e sulle insegne con alcuni franchising, leggi Caffenero, in puro made in Italy. Sicuramente molto più presenti dei cinesi e degli indiani. Vi confesso che non abbiamo provato nulla perché quando il tempo a disposizione è poco, meno di tre settimane non è viaggio diceva mio padre, scartiamo l’ipotesi di «vediamo qui come fanno la pasta» o il caffé o la pizza. Una cosa però è sicura, giusto per riallacciarsi alle polemiche di questi mesi, l’alta ristorazione in Italia e la cucina italiana nel mondo stanno viaggiando in due direzioni opposte e qui, in effetti, devo dire che alcune cineserie italiote degli ultimi tempi vanno magari a vantaggio dello stupore e della qualità della proposta ma sicuramente mortificano i riferimenti identitari del nostro patrimonio.
Questa superiorità, almeno quantitativa, si annulla però quando dal piatto passiamo al bicchiere. L’Italia, primo produttore mondiale, è presente in modo timido, al massimo con una o due etichette, predominano gli australiani, i neozelandesi, gli argentini e i cileni, poi la Francia, la California, l’Italia e la Spagna quasi a pari livello. Bere vino costa molto, ma la moda si è diffusa e tutti i bistrot e i ristoranti hanno la carta, non sempre i bicchieri adatti, il venerdì pomeriggio ovunque è un bel bere giovanile e non, fuori dai pasti in puro stile anglosassone importato anche in Italia. Il livello della proposta è medio, impatti finalmente il gusto internazionale non caricaturale che ci parla di vino di impronta dolce, di struttura, alcolico, morbido, appena appena sostenuto da una vena acida in grado di far venire la voglia di continuare, molto diverso dai nostri del Sud. Anche qui gira un po’ di Nero d’Avola, tra i campani, ovviamente, Feudi di San Gregorio e Terredora per i bianchi, Mastroberardino per i rossi a prezzi simili ai nostri ove però si consideri psicologicamente il rapporto sterlina euro uno a uno. Tra gli italiani, quasi sempre Prosecco, qualche Chianti secondario e il Barolo Pio Cesare per vecchi chiapponi degli anni ’60.
La cultura del vino presenta qualche ingenuità per non dire pesanti e gravi sbavature. Ad esempio il bicchiere viene sempre portato direttamente colmo a tavola o al banco come fosse birra senza far vedere la bottiglia mentre il servizio di sommellerie sul quale ormai noi italiani grazie all’Ais siamo piuttosto didatticamente fissati è inesistente: anche in un ristorante importante e stellato come l’Atrium la bottiglia è aperta fra le mani in un difficile e curioso gioco di equilibrio come avveniva nelle osterie di Mamma Roma.
Vegetables
Carne e pesce, sì. Ma sono rimasto stordito soprattutto dalla cultura delle verdure e della frutta, dello stesso livello, nella perizia e naturalità degli accostamenti, che sinora solo in Penisola Sorrentina sono riuscito a trovare. La materia prima è rispettata fino in fondo ed è di grande qualità, quasi inesistente per fortuna l’uso del sale, e ci siamo trovati davvero a belle e interessanti proposte. Vantaggi della globalizzazione, le tavole dei bistrot e dei ristoranti sono fornite come e più di quelle di Napoli. Non voglio sembrarvi snob o, peggio, Rutelli radical chic, ma forse questo aspetto è quello che mi ha colpito più di tutto: di queste cose ne capisco bene e vi assicuro la eccezionale qualità e cura dei sapori che posso paragonare a quelli dei mercati del Sud o a quelli organic tipici americani. Che carne e pesce siano buoni te lo aspetti, che ti diano lezioni a te, lurido terrone, sulla verdura, no questo no. Eliminati dagli scozzesi negli Europei che contano.
Courses
La sequenza delle portate ovviamente è lontana dalla nostra, anzi, dal priapismo italico di antipastini che ormai mi ha davvero rotto le palle perchè non regala la sensazione di compiutezza. Una soup, sempre eccellente, e poi il piatto principale a base di carne e di pesce. Poi, nel dessert, o formaggio o dolce, secondo i più autentici dettami franco-anglosassoni. Sicché hai il vantaggio di affrontare il piatto principale nel modo migliore. Io ormai quando vado al ristorante inizio dal secondo che nessuno fa più perché, stremati dagli antipastini, si passa direttamente al primo se non al dolce. Scegliere il secondo, Vizzari e Cremona mi correggano, è uno dei modi migliori ormai per misurare la validità di un ristorante in Italia.
Money
Con i soldi, è proverbiale, in Scozia davvero non si scherza. I prezzi sono precisi, organizzati in genere con offerte per due o tre portate. Il servizio è a parte, serve ad incentivare la qualità delle migliaia di ragazzine straniere che lavorano qui per fare un po’ di soldi d’estate e imparare la lingua. Di qui alcune ingenuità di servizio di cui sopra. Un buon pranzo, senza vino, costa sulle 80/100 sterline, in un posto di media qualità siamo su 40/50. Indicativo il fatto che quando l’agnello, la carne e il salmone sono indicati come scozzesi costano di più. Molto bello e civile, commercialmente maturo. Anche a me piacerebbe pagare di più le alici del Golfo delle orate dell’Atlantico.
Haggis
Ho scoperto con grande soddisfazione che il piatto nazionale scozzese, l’haggis, è in realtà una sorta di macinato di budella, fegato, cuore, polmoni, rognone e milza di agnello, talvolta di maiale, ben speziato con un leggero sottofondo piccante. Viene servito in genere con un puré di rape (neeps) e di patate (tatties) semplicemente bollite e senza condimento. Chi mi segue sa la mia passione smodata per le interiora degli animali e dell’agnello e del capretto in particolare e dunque mai è mancato in questi quattro giorni, l’ho provato in tutte le varianti che pure ci sono.
Da non perdere
Il merluzzo, il burro e, ovviamente, le birre.
Inutile
Il pane. Non viene nemmeno servito e quando l’ho chiesto mi hanno scambiato per francese. Quando ho detto che ero del Sud Italia la risposta è stata: «Ah, ecco, siete vicini». Dedicato ai consorzi meridionali che promuovono dop e doc dai nomi astrusi e improbabili differenziandole anche quando sono nello stesso areale.
Il Farmer Market
Il sabato mattina, ai piedi del mitico Castello di Edimburgo, ci sono una trentina di produttori biologici di salmone, agnello, haddock, maiale, pollo, ortaggi, frutta, lana. Ci sono gli amici di Slow Food e potete comprare cibi di grande qualità facendo esperienza didattica dei sapori scozzesi. Direi che è la prima cosa da mettere in agenda appena arrivati per orientarvi in seguito.
Gli indirizzi
Atrium. Sicuramente è il numero uno in città, con una carta dei vini molto varia e interessante che spazia su tutto il mondo. La Francia e l’Italia sono divise per regioni e sottozone. L’ambiente è essenziale, minimalista, il servizio eccellente e attento, ogni vostro commento al piatto è riportato allo chef. La cucina non è elaborata, esalta con grande semplicità la qualità delle materie prime. Noi abbiamo provato una soup di asparagi e una variazione di agnello davvero strepitosi. I formaggi, scozzesi, sono serviti con la loro cremina nazionale a base di cipolla. Atrium, stellato, è legato al Farmer Market dove alcuni espositori espongono, appunto, il cartello, fornitore di Atrium come da noi si usava fornitore della Casa reale. Per questo merita anche il pollo.
Cambridge Street. New Town. www.atriumrestaurant.co.uk
Si trova vicino al Farmer Market
Haldanes. Atmosfera molto intima, nel sotterreaneo di un palazzo tipico della New Town. Qui l’haggis è presentato in modo un po’ più moderno, a mo’ di caramella di pasta fillo, ottimo il filetto di manzo scozzese, carta dei vini essenziale con l’Australia e il Cile in grande spolvero. Dolci e formaggi da non perdere. Ottimo servizio, a parte la storia del vino a bicchiere portato direttamente a tavola.
Dundas Street 138. New Town. www.haldanesrestaurant.com
A duecento metri da Princes Street, arteria principale della città.
Hadrian’s Brasserie del Baltimoral Hotel. Il Balitimoral del gruppo Roccoforte è l’albergo più prestigioso della capitale. Oltre al ristorante, il Number One dove non siamo riusciti ad andare tra chiusure e overbooking, c’è l’ottimo bistrot Hadrian’s sul versante del North Bridge dove c’è un buono stile internazionale, vedi la tartare di salmone con un po’ di lime e cerfoglio, legato a piatti assolutamente tradizionali come il fish and chips con l’haddock. Le patate sono tagliate a mano, lo segnalo ai ristoranti tipici del congelato diffusi in tutta Italia. La carta dei vini è sullo stile di Haldanes. Il servizio è professionale.
Princes Street, 1. www.roccofortecollection.com
Siamo all’inizio di Princes Street.
Amber dell’Scotch Whisky Heritage Centre. Appena usciti dal castello sulla destra c’è The Spirit of Scotland di cui parleremo dopo. Da provare sicuramente i piatti di pesce molto netti nei sapori e abbinati a buone verdure. Una sosta a pranzo oppure la cena la sera con il sommelier del whisky.
Castellhill, 354. www.amber-restaurant.co.uk
Sulla destra, all’inizio del Royal Mile. Old Town.
Mancano in questa lista una cena al ristorante del nostro Old Waverly Hotel a Prince Street, lineare ma senza particolari entusiasmi come accade nella maggior parte delle cucine d’albergo in Italia e, purtroppo, il Martin Wishart, giudicato dalle guide tra i migliori di Edimburgo, nel sobborgo marinaro di Leith. Chiuso.
Un consiglio
Quasi tutti i ristoranti di alto livello sono chiusi la domenica e il lunedì per cui se, come avviene nella maggior parte dei casi, siete qui nel week end, conviene telefonare per bloccare un tavolo prima della partenza dall’Italia. Atrium, Number One e il Martin meritano questa piccola incombenza.
Gli sfizi
Il Brunch a Leith. Una cosa carina da fare la domenica mattina è farsi una passeggiata sino a Leith, circa tre chilometri dal centro, per un buon brunch in uno dei bistrot e ristoranti di Shore Street, una sorta di camminata lungo il fiume ripresa negli ultimi anni che ha trasformato il borgo della zona portuale un po’ in degrado in un simpatico ritrovo. Nonostante sia di appetito robusto, le colazioni anglosassoni sono indigeste anche per me e dopo il terzo giorno torno al the (mai il caffè fuori Napoli) con qualcosina di dolce. Ma il Brunch verso le 12 si può fare, eccome, soprattutto dopo una buona camminata che vi allontana anche un po’ dalle piste troppo turistiche del centro.
Il Whisky.Senza dubbio al citato The Spirit of Scotland dove vi accoglie un negozio con oltre 80 tipi diversi classificati per zone e invecchiamento piene di sfizioserie. Potrete fare una degustazione nelle sale attrezzate nello stesso palazzo al piano di sopra. Un mondo affascinante e ricco di segreti quanto quello del vino. Solo che ci vuole un fegato più giovane per approfondirlo.
L’Haggis The Wee Windaes (sta per windows), siamo sempre sul Royal Mile, è un ristorante tipico e molto antico perché fondato alla fine del ‘700. Buone bottiglie e piatti tipici della tradizione: il corrispettivo dell’Europeo di Mattozzi o di Mimì alla Ferrovia per capirci. Qui l’haggis è servito tosto solo con purea di rape e purea di patate. Ci vorrebbe un buon whisky ma potete ripiegare sulla birra scura e alcolica delle High Lands.
High Street, 144.
Cashmere Edimburgo è un po’ più cara dell’Italia ma c’è una cosa che sicuramente conviene: il cashmere. Non solo perchè con buone scelte ti ripaghi il viaggio, ma soprattutto per la garanzia del made in Scotland su cui, come per il cibo, da queste parti non si scherza. Il clima, piove quasi sempre e una giornata di caldo per loro corrisponde al nostro ottobre, aiuta in queste spese.
Il The e le torte alla Agata Christie
Al numero 28 Charlotte Square, nel quartiere illuminista alle spalle di Princes Street, c’è questo locale recuperato dal National Trust of Scotland dove potete fermarvi per una pausa pomeridiana in puro stile scozzese. Il loro the, c’era da dubitarlo, è molto forte e, quello con le foglie tradizionale, anche tannico.
Visitare Edimburgo è facile perchè è piccola ma soprattutto ben organizzata con un sistema di bus in grado di portarvi ovunque meglio di come potreste fare con la vostra auto. C’è una realtà multietnica molto bella nella quale però il richiamo forte è costituito dalle tradizioni rivendute in ogni modo senza però cadere nella banalizzazione. Per capirci, esistono i posti simili alle bancarelle di Pompei decisamente trash, ma non bisogna battere chissà quali piste per incontrare l’autenticità.
La qualità della ristorazione pubblica è più che soddisfacente, in alcuni casi eccellente. Insomma, gli scozzesi hanno imparato a fare turismo allo stesso modo con cui per secoli hanno combattuto in tutto il mondo: molto bene.
Luciano Pignataro
(dal sito www.lucianopignataro.it)
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