EDUCAZIONE, A CHI CONVIENE?
L’IDEA DI COMPETERE

6 dicembre 2017 Postato da: Competere Categoria: highlights, news

In Italia il tema della formazione rimane, il più delle volte, un argomento da talk show e poco più. Secondo le ultime rilevazioni dell’ISTAT, le imprese la considerano inutile o troppo costosa. Mettendo a confronto i dati del 2015 con quelli del 2010 e del 2005 emerge un quadro sconfortante: i progressi sono sensibili e le imprese non sono ancora del tutto convinte che la creazione di nuove competenze possa essere una risposta alla digitalizzazione del mercato del lavoro.

Nel 2015 il 60,2% delle imprese attive in Italia con almeno 10 dipendenti ha svolto attività di formazione professionale.
Nel 2010 la quota era del 55,6%.
Notevole il progresso rispetto al 2005, quando la quota riguardava appena il 32,2% delle aziende.
Il progresso però risponde più ad una formalità che ad una visione organica e di lungo periodo in termini di crescita e produttività. Esiste una cecità manageriale per cui, le imprese tra i 10 e i 19 dipendenti (74%, fonte ISTAT) ritengono il personale già qualificato per le posizioni occupate, mentre in percentuale minore ma sempre rilevante (13%) considerano i costi di formazione troppo elevati.

È una questione di consapevolezza, oltre che di costi. Se si tiene conto:

Dei costi diretti, 1.394 miliardi di euro spesi nel 2015
Dei costi del lavoro, 2.657 miliardi
Del saldo tra contributi e finanziamenti ricevuti (regionali ed europei), 462 milioni
Il costo totale è di 4.513 miliardi di euro nel 2015
Un costo medio orario di 57 euro può essere importante per le piccole aziende, ma non dimentichiamoci che la questione “costi” è un elemento ostativo anche per il 13,2% delle imprese medie e grandissime.

E se non si trattasse di scarso acume manageriale, ma piuttosto di un effetto disincanto? Le competenze professionali ritenute di importanza cruciale per le imprese sono quelle di tipo tecnico-operativo, mentre hanno poca presa le capacità relazionali, il team working, il problem solving e la conoscenza delle lingue. È un chiaro segnale che le imprese mandano soprattutto alla politica: è tempo di concentrarsi su questioni concrete.

Tuttavia, non si tratta di aggiornare solo le competenze di base del lavoratore, quanto riconoscere l’importanza delle soft skills, cioè quelle competenze distintive che difficilmente potranno essere incanalate in un processo meccanico del lavoro. Per questa ragione è importante sostenere, soprattutto economicamente, programmi di formazione: rimettere al centro l’elasticità dell’individuo significa sviluppare nuovi modelli di apprendimento che favoriscano in melting-pot tra abilità, competenze e conoscenze differenti.
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Categorie: Attualità

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