1° CENTENARIO DELLA MORTE DI FRA PIETRO DE GIOVANNI FONDATORE DELL’OSPEDALE SACRO CUORE DI GESU’ DI BENEVENTO
Centro Congressi Ospedale Fatebenefratelli – Viale Principe di Napoli
Martedì 12 Febbraio 2013 alle ore 11.00
Martedì 12 Febbraio 2013, alle ore 11.00, in occasione del 1° Centenario del ritorno alla Casa del Padre del fondatore dell’Ospedale Sacro Cuore di Gesù Fatebenefratelli di Benevento FRA PIETRO DE GIOVANNI, sarà celebrata nella sala conferenze del Centro Congressi della struttura sanitaria, una Santa Messa presieduta dall’Arcivescovo di Benevento Monsignor Andrea Mugione.
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Manila, 8 febbraio 2013
Una diversa nobiltà
Fra Pietro Maria De Giovanni (1842-1913)
A Benevento alle 10½ del mattino del 29 ottobre 1842 nacque uno dei più promettenti rampolli della nobiltà locale. Senza indugio, fu portato quel medesimo giorno al fonte battesimale della Parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli, dove ricevette il nome di Angelo . Suo padre, Nicola De Giovanni, era tra i più facoltosi possidenti della città e sua madre, Maria Laura Macedonio , apparteneva a una famiglia titolare in Calabria del marchesato di Ruggiano, nonché in Irpinia della signoria di Grottolella, sicché fin dal 1660 era stata aggregata alla nobiltà di Benevento .
Con tali genitori e grazie alle doti intellettuali e morali che il Signore gli concesse, Angelo avrebbe potuto dar gran lustro alla sua casata con una brillante carriera, ma se quest’anno, nel centenario della sua morte, ne celebriamo il ricordo, non è in omaggio al sangue blu che scorreva nelle sue vene, ma in omaggio alla generosa nobiltà di cuore con cui per amore a Dio volle umilmente consacrarsi a tempo pieno nel servizio diretto dei poveri malati e, con i beni ricevuti in eredità, edificare in Benevento un nuovo ospedale, più accogliente e attrezzato.
Benevento, quando nacque Angelo, era ancora un territorio dello Stato Pontificio, racchiuso nel Regno delle Due Sicilie e governato in nome del Papa da un Delegato Apostolico, che dal febbraio 1838 al giugno 1841 fu il giovane sacerdote Gioacchino Pecci, poi Papa Leone XIII, che in quei tre anni ebbe modo di stimare la famiglia De Giovanni per l’esemplare vita di fede e di carità e se ne ricordò da Papa mostrando, come vedremo, una particolare predilezione per il piccolo Angelo, quando lo seppe divenuto fatebenefratello.
Angelo fu l’ultimo dei quattro maschietti di casa ed ebbe due sorelline. Giusto il giorno dopo che egli compì sette anni, arrivò il Papa Pio IX in visita alla città e vi rimase quattro giorni, non mancando di visitare il nostro Ospedale nel pomeriggio del 31 ottobre, soffermandosi al letto di ogni paziente . Angelo dovette certamente ricordare quella solenne visita del Papa a quel distante lembo dello Stato Pontificio, però il più indelebile ricordo, che Angelo conservò di quando aveva sette anni, fu sicuramente la cresima che gli impartì il cardinal Domenico Carafa dei duchi di Traetto, che risiedette a Benevento come arcivescovo dal 1844 al 1860 e che gli era zio da parte materna.
Assieme ai fratellini, Angelo compì privatamente gli studi elementari sotto la guida di un pio sacerdote che viveva in casa come cappellano della famiglia. Per gli studi liceali frequentò dai dieci anni fino al giugno 1860 il locale Collegio Giannone, retto dai Gesuiti e in cui si distinse per impegno nello studio e per spirito devoto, che fu felice di manifestare iscrivendosi alla Congregazione Mariana. Dal 1861 al 1863 studiò Diritto Civile, sotto la guida di Salvatore Vincenzo Gramignazzi-Serrone, un magistrato beneventano leale al Papa e che perciò, quando nell’ottobre 1860 la Delegazione Pontificia fu annessa al Regno Italiano, si dimise da giudice e si dedicò alla sola pratica forense.
Al termine degli studi, Angelo pensava di esercitare la professione forense, ma poi, con la stessa coerenza del suo maestro, vi rinunciò, per non sottomettersi al prescritto giuramento di fedeltà al re d’Italia, che lui considerava un usurpatore. Era l’inizio dei lunghi decenni che separarono i cattolici italiani dalla vita politica, nella quale apparvero dominanti i massoni, che nel loro odio alla Chiesa tentarono di cancellare gli Istituti Religiosi, che ne erano il principale sostegno e ai quali con la legge eversiva del 1866, estesa nel 1873 al dissolto Stato Pontificio, fu non solo confiscata ogni proprietà, ma addirittura negata la personalità giuridica, in modo da ostacolarne la vita in comune e indurne così la completa estinzione.
I Fatebenefratelli poterono sopravvivere a questa subdola persecuzione grazie alla sagacia di fra Giovanni M. Alfieri, che fu alla guida dell’Ordine dal 1862 al 1877. Poiché fu concesso ai Comuni di poter utilizzare per fini sociali gli immobili confiscati ai frati e pertanto alcuni dei nostri 46 Ospedali, ripartiti allora in quattro Province Religiose, restarono aperti come Ospedali Comunali, fra Alfieri incoraggiò i confratelli a non disperdersi, ma a restare nelle superstiti strutture, offrendosi a titolo personale o, se possibile, come associazione d’infermieri, per venire assunti nel servizio d’assistenza ai malati. Con questo sotterfugio, attuato dove le Amministrazioni locali non erano succube dei massoni, varie nostre Comunità restarono unite finché nel 1929 il Concordato tra l’Italia e la Santa Sede restituì capacità giuridica agli Istituti Religiosi e riconobbe legalmente la Curia Generalizia del nostro Ordine e le Province superstiti, Romana e Milanese.
Tra le nostre Comunità che sfuggirono alla soppressione del 1866 ci fu quella di Benevento, dove il Comune ci dimostrò tale stima da non solamente affidare ai frati l’assistenza dei malati, ma anche da eleggere Direttore e Amministratore dell’Ospedale fra Celestino Ventura, che ne era il Priore, e da riconfermarlo nell’incarico quando il Prefetto chiese di ripetere il voto.
Angelo nel frattempo andò sempre più avvivando la sua vita interiore, specie dopo la morte della madre il 16 dicembre 1868, e nel 1869 entrò a far parte del Terz’Ordine di San Francesco, accolto nella locale Confraternità di San Rocco, di cui fu eletto segretario nel 1870 e, con l’abituale generosità, ne sanò un passivo di 4.595 lire quando al chiudersi del 1875 si dimise, avendo ormai deciso di lasciare Benevento e farsi frate ospedaliero.
Fu una decisione maturata dopo averci riflettuto per oltre un anno col suo confessore, ma senza farlo trapelare ad altri. Per prima cosa, studiò le Regole e Costituzioni dell’Ordine, che gli prestò fra Celestino Ventura, e le applicò in privato. Decise anche di esercitarsi nell’assistere i malati e, per riservatezza, preferì farlo andando più volte nell’Ospedale che avevamo a Napoli, dove si prestò ai più umili servizi, come in seguito attestò un insigne suo concittadino, mons. Francesco Paolo Carrano (1841-1915), che fu poi vescovo a Isernia dal 1891 e arcivescovo a L’Aquila dal 1893 e a Trani dal 1906.
Terminato positivamente il discernimento, il 6 febbraio 1876 Angelo restituì il libro al Priore e gli chiese verbalmente d’essere accolto nell’Ordine. Costui ne informò fra Alfieri, che chiese al candidato di porre per iscritto la propria petizione. Con lettera del 14 febbraio Angelo sintetizzò la propria vita e le fasi del proprio lungo discernimento: fra Alfieri gli rispose positivamente il 19 ma, ricordandogli le difficoltà che i frati dovevano affrontare in quei tristi tempi, lo invitò a rifletterci meglio e a discuterne col suo Direttore Spirituale.
Lieto della disponibilità che gli aveva dimostrato fra Alfieri, Angelo passò ad informare la famiglia, che si dimostrò però contraria e l’invitò a piuttosto farsi prete secolare, considerato l’incerto futuro in Italia degli Istituti Religiosi. Angelo il 29 febbraio informò fra Alfieri dei dissensi incontrati in famiglia e che non gli riusciva d’appianare, ma il 24 aprile ruppe gli indugi e lasciò Benevento, informandone l’Alfieri. Dopo una sosta a Napoli per salutare la sorella, giunse all’Isola Tiberina il pomeriggio del 29 e fra Alfieri l’affidò al Maestro dei Postulanti, fra Giuseppe Maria Cortiglioni.
Finito il Postulantato, la Comunità espresse unanimemente parere favorevole alla sua ammissione in Noviziato, che poté iniziare il 29 giugno, ricevendo in Chiesa il santo abito e il nuovo nome da frate che, in onore del Santo del giorno, fu fra Pietro Maria.
Pochi giorni dopo, fra Alfieri ebbe occasione d’essere ricevuto in udienza dal Beato Pio IX, con cui era in cordialissimi rapporti, e recò con sé il neo novizio, non mancando di presentarlo al Papa, che benevolmente commentò “Ne farete un buon Padre”, volendo intendere un prete. Fra Pietro capì l’allusione e candidamente gli replicò: “Santità, se avessi voluto ascendere al sacerdozio, non avrei scelto l’Ordine laicale dei Fatebenefratelli”.
Terminato con edificazione il Noviziato, fra Pietro emise i Voti Semplici il primo luglio 1877 e restò di Comunità all’Isola finché il 16 aprile 1879 giunse notizia che a Benevento fra Celestino Ventura era agonizzante per un attacco apoplettico ed il Sindaco supplicava di permettere a fra Pietro di sostituirlo. All’indomani il Consiglio Generalizio dette il suo assenso, ma fu necessario chiedere la dispensa pontificia, poiché fra Pietro non aveva i due requisiti dei sei anni di Voti e della Professione Solenne. Dal febbraio 1878 era Leone XIII il nuovo Papa che, memore dei suoi legami con Benevento e i De Giovanni, ben volentieri accordò la dispensa. Morto il 18 aprile fra Celestino, il Consiglio Comunale all’unanimità elesse il 20 aprile fra Pietro come nuovo Direttore, che giunse in città il 29 aprile, accompagnato dal suo Generale fra Alfieri, che l’insediò come Priore della Comunità, incarico che tenne fino al 1893.
Fra Pietro dette subito nuovo slancio all’assistenza e ottenne il permesso da fra Alfieri d’usare i beni della sua famiglia sia per anticipare l’importo di urgenti restauri edilizi, sia per comprare nel novembre 1879 un contiguo villino a tre piani, in cui i frati potessero organizzare con più autonomia la Vita Comunitaria. Fra Alfieri fu così contento di tale soluzione, che s’orientò a usare parte della casetta come sede di Noviziato della Provincia Romana.
L’anno dopo fra Pietro fu ammesso ai Voti Solenni, che venne a emettere a Roma nelle mani di fra Alfieri il 2 agosto 1880. Va notato che oltre alla formula canonica prevista per la Professione Solenne, fra Pietro sottoscrisse una dichiarazione privata con cui s’impegnava “a vivere in povertà e perfetta vita comune, come prescrive la Regola del S. P. Agostino, e non nella pratica tollerata nel passato”. Bisogna, infatti, sapere che fra Alfieri era convinto che per superare la nequizia dei tempi non bastava mantenere in piedi la Vita Comune, magari a costo di assoggettarsi, come era nel caso dell’Isola, a prestare assistenza alle dipendenze delle Autorità Comunali, ma anche c’era bisogno di un supplemento d’anima, tornando a vivere i Voti col rigore dei tempi antichi, specie nell’ambito della povertà. Non era facile convincerne quei frati di mezz’età, che s’erano ormai adagiati in un mediocre compromesso, sicché fra Alfieri puntò sulle nuove reclute e fra Pietro fu tra i molti che firmarono al momento d’emettere i Voti tale impegno addizionale , cui poi restò sempre fedelissimo.
La Santa Sede il successivo 4 settembre autorizzò il trasferimento del Noviziato a Benevento, dove fu inaugurato l’8 dicembre 1880 e vi restò fino all’aprile 1891. Fra Pietro ne fu nominato Maestro, anche questa volta dopo che il Papa lo dispensò del mancante requisito di almeno dieci anni di Professione, poiché la sua ben nota santità di vita dava assai più ampia garanzia che lunghi anni di vita in Convento.
Se per la Comunità e per il Noviziato fra Pietro poté offrire un’adeguata soluzione logistica col villino comprato a suo nome, gli parve impossibile recuperare nell’edificio ospedaliero spazi per renderlo più accogliente e funzionale, sicché gli nacque in cuore l’aspirazione di costruirne uno totalmente nuovo a proprie spese e in un ampio lotto di sua proprietà, lungo il Viale della Stazione. Ne parlò con fra Alfieri e questi con Leone XIII, che approvò l’idea e inviò la propria Benedizione Apostolica. Fra Pietro affidò il progetto all’architetto Ettore Satriano e l’appalto dei lavori alla Ditta di Luigi Zoppoli. La prima pietra, collocata dove era prevista la Chiesa, dedicata al pari dell’Ospedale al Sacro Cuore di Gesù, fu benedetta da mons. Antonio Scotti, Ausiliare di Benevento, il 15 ottobre 1885, ma occorse oltre un decennio per finire l’intero complesso, che figurò giuridicamente intestato a fra Pietro, poiché fino al Concordato del 1929 restò proibito agli Istituti Religiosi avere beni immobili.
Nel Capitolo Generale del luglio 1887 Leone XIII avocò a sé la nomina del Superiore della Provincia Romana e scelse fra Pietro, che al contempo, per gli obblighi che aveva col Comune di Benevento, vi restò Priore, pur non mancando di visitare a rotazione durante il sessennio le ben sedici Case della sua Provincia. Al termine del sessennio fu ultimata una prima parte del nuovo Ospedale di Benevento e il 5 giugno 1893 fu chiesto al Prefetto il permesso d’aprirlo, che fu concesso il primo agosto, sicché l’11 settembre cominciarono ad andarvi di Comunità i primi tre frati e con la fine dell’anno cessò la loro presenza nell’Ospedale del Comune. Caduto ormai per fra Pietro l’obbligo di risiedere a Benevento, nel Capitolo Generale del 1893 ne profittarono per eleggerlo 2° Consigliere Generale e Priore dell’Isola Tiberina, dove rimase fino al 1911, a motivo di sempre nuovi incarichi.
A Benevento, ottenuta infine l’approvazione comunale del Regolamento interno del nuovo Ospedale, ci fu il primo gennaio 1894 una solenne inaugurazione dei Reparti e degli Ambulatori, che venne a presiedere il card. Camillo Siciliano di Rende. L’8 marzo seguente fu aperta al pubblico la Farmacia e, man mano negli anni seguenti, ulteriori Reparti specialistici. A consacrare il 4 marzo 1897 la Chiesa e i suoi tre altari, dedicati al Sacro Cuore di Gesù, a Sant’Agostino vescovo e a San Giovanni di Dio, come evidenziato dalle rispettive pregevoli tele in essi collocate e opera del valente pittore romano Marcello Sozzi, intervenne il medesimo cardinale, come si legge nella lapide ricordo .
Intanto fra Pietro continuava ad essere impegnato a Roma. Nel Capitolo Generale del 1899 fu, infatti, eletto 1° Consigliere e Procuratore Generale e fu poi riconfermato in quello del 1905; venuto poi a morte il 17 aprile 1910 il Superiore Generale, fra Cassiano Maria Gasser, egli, come previsto dalle Costituzioni, passò a guidare l’Ordine come Vicario Generale, finché il 21 aprile 1911 non fu nominato nuovo Generale San Benedetto Menni. Ai gravosi impegni di comando si aggiunse quello di Maestro dei Novizi all’Isola Tiberina, che espletò con grandissimo zelo dal settembre del 1900 al maggio del 1905. Quando infine terminò l‘impegno in Curia, egli chiese di potersi dedicare solo ai malati e fu accontentato, destinandolo alla Comunità di Ruffano, che dal 1905 gestiva in Provincia di Lecce un piccolo ospizio per anziani, poi chiuso nel 1913. Purtroppo, dopo un mese gli si manifestò un carcinoma della vescica e fu costretto a tornare all’Isola per esservi assistito: fu un calvario lungo e penoso, che affrontò con edificante rassegnazione. Nel pomeriggio del 12 febbraio 1913, senza alcun segno di aggravamento, chiese l’Olio degli Infermi e la Benedizione Apostolica in punto di morte, che effettivamente lo colse tre ore dopo, alle 17,45.
Fu sepolto al Verano, ma ne rimase sempre vivo il ricordo, tanto che fu deciso di esumarne la salma e tumularla nel 1957 nella Chiesa dell’Ospedale che aveva fondato a Benevento; e il 22 dicembre di quello stesso anno gli fu dedicato un busto nell’atrio della scala principale dell’Ospedale . Anche il Comune volle rendergli omaggio con il dedicargli una strada cittadina. Nel Necrologio della Provincia Romana figura questo sintetico, ma toccante profilo: “Religioso esemplare, specialmente per la sua umiltà, carità, spirito di mortificazione e regolare osservanza”.
Merita concludere riportando per intero il necrologio pubblicato il 22 febbraio 1913 in prima pagina a Benevento dal periodico “LA SETTIMANA: ORGANO DEGL’INTERESSI RELIGIOSI E CIVILI DELLA REGIONE BENEVENTANA”:
A Roma, nella modesta sua celletta, serenamente spegnevasi, è qualche giorno, il p. Pietro de Giovanni, dei fate bene fratelli.
Moriva fra i suoi correligionari, in quella povertà da lui voluta ed amata, fra i suoi infermi, ai quali aveva dedicato le sue energie, il suo cuore, nel completo distacco dal mondo e dalla nobile famiglia sua. Ed i suoi fratelli di religione, i suoi infermi, la famiglia tutti ne piangono la mesta dipartita.
Anche Benvenuto si associa a questo dolore, Benevento, che fra le sue storiche antichità ha visto fondare e sorgere un ospedale, al quale il p. Pietro de Giovanni consacrò tutto intiero il suo avito patrimonio e tutte le forze del suo spirito caritatevole.
Resse in momenti gravi e difficile l’Ordine cui si affiliò, e rivestì in esso le cariche più eminenti. Fu per molti anni priore, indi procuratore generale, ed in fine vicario generale; ed in tali mansioni delicatissime rifulse sempre la sua immensa carità, espressione costante di ogni atto della vita sua.
Morì rassegnato fra i maggiori spasimi, sapendo di morire, ed in quell’ora estrema edificò i suoi confratelli che, in tutte le contingenze della vita e nei problemi ardui di essa, sapranno ben valutare il gran vuoto che una così grave perdita ha causato.
Benevento non può, né deve dimenticare la nobile ed umile figura del p. Pietro de Giovanni, e, se l’ospedale da lui fondato varrà a ricordarlo ai posteri, nell’animo di ogni cittadino sorga perenne un monumento di gratitudine verso Lui, che, con la sua carità beneficò il suo paese”
Fra Giuseppe MAGLIOZZI o.h.
PROVINCIA ROMANA DEI FATEBENEFRATELLI – DELEGAZIONE FILIPPINA “MADONNA DEL PATROCINIO” IL MELOGRANO TACCUINO VIRTUALE GIOVANDIANO
Tel: 00632/736.2935
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E-mail: ohmanila@yahoo.com
Anno XV, n. 9
da: alfredosalzano@tin.it


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